La Nuova Sardegna

Legge di stabilità, le spiagge sarde sono salve? Forse

di Silvia Sanna
Legge di stabilità, le spiagge sarde sono salve? Forse

Pericolo scampato dopo il caos in Parlamento. Uras (Sel) avverte: l’isola fa gola, servono maggiori tutele. Il ministro: inaccettabile alienarle. Ma l’isola resta in allerta

13 novembre 2013
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SASSARI. Il risultato di questa specie di commedia degli equivoci in cui non è ben chiara la differenza dei ruoli tra attori protagonisti e comparse, è che le spiagge italiane, e dunque anche quelle sarde, dovrebbero essere salve. Almeno per ora. Questa volta il pericolo sembra scampato, ma il futuro è una grande incognita. Perché, in tempi di crisi, sintesi facili del tipo vendiamo le spiagge per ridurre le tasse hanno grande appeal. Soprattutto se le spiagge sono belle e incontaminate, perché grazie a vari livelli di tutela l’intervento dell’uomo è stato tenuto a freno. Come in Sardegna, lungo la maggior parte dei 1850 chilometri di coste.

Spiagge salve? Dopo la retromarcia del Pd, è prevedibile che il Pdl, rimasto solo, non riuscirà a fare passare la proposta che ha tenuto per giorni gli ambientalisti e tantissimi cittadini con il fiato sospeso. Dal primo istante dalla Sardegna si è levato un coro di proteste ma una sola voce politica, quella di Sel. Che ha tuonato contro lo scippo annunciato ai danni dell’intero Paese e della nostra regione. Perché, secondo il senatore Luciano Uras, l’isola è sempre stata in grande pericolo.

Coste sarde a rischio. «Quello pensato è un sistema furbo – spiega Uras, componente della commissione Bilancio del Senato – basato su un meccanismo che si insinua nel diritto per modificarlo in maniera sostanziale. L’obiettivo, attraverso la sdemanializzazione, è mettere le mani sulle spiagge più belle, iniziando però da quelle più alterate dal cemento, cioè dove insistono stabilimenti balneari di grandi dimensioni. È il caso per esempio dei litorali toscani e della Riviera romagnola. Da lì si passerebbe ad altre zone, quelle economicamente più appetibili perché sinora più preservate. Come i litorali pugliesi. O sardi». Secondo l’esponente di Sel, il rischio dietro l’angolo è ritrovare le spiagge dell’isola invase da stabilimenti «gestiti da privati che hanno interessi di esclusiva natura economica e di certo non tutelano un bene collettivo come il paesaggio». Per evitare che questo accada «è fondamentale rafforzare i vincoli, partendo dalla filosofia del Ppr di Renato Soru. Il suo valore – dice Uras – va recuperato in toto –. È l’unico modo per tutelare i tesori del territorio. Nulla deve essere venduto. Tutto deve rimanere al demanio, cioè pubblico».

La mediazione. No alla cessione ai privati, si a una collaborazione tra pubblico e privato che miri a ottenere due risultati: tutela ambientale e valorizzazione delle aree in chiave turistica. È il sogno della stagione lunga, inseguito da tempo in Sardegna. Dice Luciano Uras: «Una soluzione possibile, che noi caldeggiamo, è quella di valutare caso per caso la possibilità di mantenere le strutture balneari tutto l’anno, senza obbligare i titolari delle concessioni a smontarle al termine della stagione canonica. Sarebbe un servizio in più offerto a un’utenza diversa: penso per esempio a chi fa attività sportive in tante spiagge del Sassarese».

Gli ambientalisti. Ora tirano un mezzo sospiro di sollievo. Legambiente da giorni è sul piede di guerra, e l’associazione ecologista Gruppo di intervento giuridico già un paio di settimane fa ha avviato un’iniziativa on line: una mail da spedire al presidente del Consiglio Enrico Letta o al sottosegretario Baretta per dire no alla vendita delle spiagge. Obiettivo: inondare con la protesta le caselle di posta elettronica. Forse non sarà più necessario.

Vendere? Un paradosso. Giuseppe Bonanno, presidente del parco della Maddalena, definisce la proposta di vendita della spiagge «una bestemmia amministrativa». Al di là del fatto che giudica «sconcertante il pensiero di cedere i beni del territorio a privati che vogliono trarne profitto», Bonanno contesta un altro aspetto:una quota dei proventi delle vendite confluirebbe «in un fondo destinato a finanziare il supporto alle attività turistiche. Quindi: prima vendiamo e poi sosteniamo, cioè foraggiamo con fondi pubblici, gli investimenti in quelle aree delle quali abbiamo deciso di disfarci. Mi domando: perché non farlo prima? Perché non può essere lo Stato a fare economia su un bene, così da garantire trasparenza e tutela dell’interesse collettivo?». Bonanno cita il caso dell’isola di Budelli, sulla quale il Parco sta conducendo una partita importante e delicata: «Si saluta con grande clamore l’arrivo di un imprenditore estero interessato ad acquistare l’isola: una persona perbene, che io stesso ho avuto modo di apprezzare. Ma chi garantisce, per Budelli come in tutti gli altri casi che si potrebbero verificare, che chi verrà dopo di lui avrà gli stessi nobili propositi?»

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