La Nuova Sardegna

Privatizzare le spiagge sarde? «Lo Stato può farlo»

di Silvia Sanna
Privatizzare le spiagge sarde? «Lo Stato può farlo»

Coro di no all’ipotesi del governo sulle coste. Alessio Satta, Conservatoria delle Coste: «È sufficiente una legge nazionale». Ma in Sardegna, dove le concessioni balneari sono poche, non c’è business

10 novembre 2013
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SASSARI. Spiagge in vendita controla direttiva europea Bolkestein, quella che ha sancito il principio della concorrenza e imposto lo stop ai rinnovi automatici delle concessioni balneari. Vendendo le porzioni di litorale a chi sopra ha apparecchiato gli stabilimenti, si salvano posti di lavoro (30mila le imprese del settore in Italia) e si garantiscono gli investimenti: il concessionario che diventa proprietario ha infatti tutto l’interesse a rendere la sua struttura sempre più accogliente. Così ha pensato il sottosegretario Pd all’Economia Pier Paolo Baretta, e così ha riportato nell’emendamento alla Legge di Stabilità il senatore del Pdl Sergio Pizzolante. La parola chiave è sdemanializzare, cioè sottrarre un bene al regime demaniale per assegnarlo a un soggetto privato. Si può fare? Pare di si: serve una legge nazionale, come quella di Stabilità. Anche le spiagge sarde sono a rischio? In teoria sì, in pratica no. O almeno, questa è la speranza.

Spiagge ai privati. Non tutte, per fortuna. Solo quelle, o le porzioni di litorale, sulle quali insistono gli stabilimenti. Nella Riviera Romagnola sono una costante, altrettanto accade in alcune zone del Veneto, della Liguria e della Toscana. Il fenomeno delle spiagge in appalto ai concessionari è meno diffuso nel Sud Italia e nelle isole, con la Sardegna fanalino di coda. Non a caso, la nostra isola è la regione con le spiagge più dinamiche: significa che dei 1850 chilometri di costa complessivi, un’altissima percentuale è caratterizzato da spiagge naturali, che si rigenerano grazie a un sistema dunale funzionante. In Romagna, o dove gli arenili sono invasi dagli stabilimenti, la spiaggia è artificiale e si mantiene in vita soltanto grazie a frequenti interventi di ripascimento.

Vendita? Si può fare. Alessio Satta, dal 2008 direttore della Conservatoria delle Coste, fa una premessa: «Questa novità delle spiagge in vendita mi fa un po’ sorridere e un po’ allarmare. Il primo pensiero, quando ho sentito la proposta, è andato all’ex ministro Tremonti, che propose di formulare concessioni a 90 anni. È un’idea che ovviamente non condivido ma che avrebbe effetti differenti a seconda del contesto di applicazione. Le motivazioni strettamente economiche alla base della proposta mi fanno ritenere che le spiagge papabili, quelle cioè che potrebbero essere messe in vendita, si trovino nella Penisola, in quei litorali segnati da vere e proprie colate di cemento. È lì, tra Rimini e Riccione soprattutto, che si concentrano gli interessi economici. In Sardegna, per fortuna, le spiagge sono state tutelate in maniera superiore e questo approccio ha evitato che nascessero lobby di potere nel campo delle concessioni». In ogni caso, aggiunge Satta, «la sdemanializzazione e la conseguente privatizzazione delle spiagge è un atto possibile con una legge nazionale».

Il caso sardo. Nell’isola le concessioni balneari sono meno di 500 e nella maggior parte dei casi si traducono in strutture piccole, molto diverse dai veri e propri villaggi vacanze frequenti nelle coste della Penisola. «Per questo – spiega Alessio Satta – è molto improbabile che la proposta di vendita possa riguardare la Sardegna o altre regioni meno contaminate dal cemento sul mare». Nella nostra isola si sta seguendo un percorso opposto: il progetto Camp del Ministero dell’Ambiente vede la Conservatoria delle Coste, in partnership con altre regioni come la Toscana e l’Emilia, impegnata in un processo di arretramento: l’obiettivo è portare i servizi nelle aree retrodunali, più lontano dalla battigia. Il progetto riguarda diversi comuni sardi tra i quali San Vero Milis, Sorso e Buggerru.

Come tutelarsi. «Sulla questione spiagge, la Regione dovrebbe comunque prendere una posizione forte – dice Satta –, chiarendo subito che se il demanio diventerà patrimonio deve passare alla stessa Regione e non allo Stato. In questo caso vale l’articolo 14 dello Statuto, che consente di esercitare il diritto di prelazione. Ma mi auguro che non si arrivi a tanto». Se dovesse accadere, sulle spiagge si scatenerebbe uno scontro Stato-Regione. L’ennesimo.

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