La Nuova Sardegna

È ora di smascherare i veri assassini della lingua dei sardi

di Attilio Mastino
È ora di smascherare i veri assassini della lingua dei sardi

Nel libro di Giuseppe Corongiu una logica intollerante amico/nemico che con le diversità uccide anche sa limba

05 novembre 2013
5 MINUTI DI LETTURA





Il libro Il Sardo una lingua "normale" (Edizioni Condaghes, 272 pagina, 20 euro)di Giuseppe Corongiu, direttore del Servizio lingua sarda della Regione Sardegna, si presenta come un Manuale per chi non ne sa nulla, non conosce la linguistica e vuole sapere di più o cambiare idea. L'ho letto col sincero intento di capire le ragioni profonde della polemica che l'attraversa. Debbo dire che il libro non mantiene nessuna delle sue promesse. A prescindere dai contenuti scientifici, inesistenti, l'autore si ritiene investito del ruolo di guardiano del tempio dell'ortodossia linguistica e si dedica a dare colpi a chi non condivide il suo illuminato pensiero. Il testo è costruito sulla bipartizione amici/nemici, attribuendo a questi ultimi biasimevoli posizioni di retroguardia in tema di lingua. Meraviglia l'abilità di chi è certo di rappresentare la sintesi di pensieri diversi, e prima di tutto le posizioni degli assessori regionali degli ultimi vent'anni, sempre e comunque dalla parte del potere. Trovo inspiegabili queste oscillazioni e sorprendente il cambiamento di campo a proposito della Limba sarda comuna, avendo conosciuto Corongiu come sostenitore della Limba de mesania.

Un nuovo Manzoni?

Per il resto, molte cose banali e perfino condivisibili. Spicca la ricostruzione della «questione linguistica» in chiave anti-accademica, con l'obiettivo scoperto di finalizzare la storia del mondo alla provvidenziale comparsa in scena di un nuovo Alessandro Manzoni. Eppure proprio Manzoni è criticato per il ruolo verticistico assunto nella nascita della lingua italiana standard, mentre è lodata la posizione più democratica a favore del multilinguismo di Graziadio Isaia Ascoli.

È davvero inaccettabile il tono aggressivo verso «gli accademici nichilisti e carichi – d'invidia» (chissà poi perché) e l'attacco frontale ai docenti dell'Università di Sassari additati come «nemici del bilinguismo», con una ricostruzione dei fatti (penso alla Conferenza di Alghero di due anni fa) decisamente scorretta. L'incontro è stato certo vivace, ma nessuna polemica si è svolta nei confronti di chi, come me, ha una storia personale legata a Giovanni Lilliu, alla Sotziedade de sa limba sarda, alla Scuola di studi sardi. In difesa del bilinguismo mi batto dal 1976, come attesta la deliberazione del Consiglio comunale di Bosa, approvata su mia proposta. Non posso dunque essere indicato come uno dei «nemici» su cui si appunta la vis polemica di Corongiu e non è una questione personale.

L'approccio alla «questione della lingua», ricostruita in senso finalistico e provvidenzialistico, appare ingenuo e vittimistico, oltre che autoreferenziale. Sullo sfondo c'è un giudizio apocalittico e non condivisibile sulla lingua sarda, «che ha avuto – scrive Corongiu – solo brevi momenti storici di ufficialità e secoli bui di considerazione esclusivamente dialettale di natura antropologica e folclorica, compreso l'attuale». È ovviamente il patriota che parla. Che delle cose che ama, con «livore e una foga antiaccademica», per usare le sue stesse parole.

Posizioni pericolose

Trovo pericolose alcune posizioni assunte da Corongiu su varie questioni e mi sembra vada ribaltata l'accusa rivolta agli «assassini del sardo», che a mio avviso sono quelli che vogliono abbandonare la difesa della ricchezza linguistica e della profondità di una lingua che non può essere disprezzata per la sua immaginaria storia di «frammentazione linguistica dialettale».

Innanzitutto, l'autore si propone di amputare la letteratura sarda, cancellando le opere di coloro che hanno scritto anche in italiano (penso a Grazia Deledda), in latino, in castigliano, in catalano. Non ci piacciono i plotoni di esecuzione innalzati per scomunicare gente come il canonico Giovanni Spano ed Emilio Lussu. Mi ha colpito l'idea di relegare all'ambito dialettale la lingua di Bitti o quella di Quartu, alla ricerca di una ipotetica LSC standard e normale, più autorevole della tradizionale «accozzaglia di dialetti», visti da Corongiu con disprezzo e superiorità di stampo coloniale. La Limba sarda comuna nascerebbe solo a condizione di rinnegare quelle che Corongiu considera «le 377 parlate isolane» e soprattutto di rifiutare la bipartizione della lingua sarda «biforcuta» tra Logudorese e Campidanese. Non fa parte della mia cultura accettare espressioni irrispettose nei confronti della lingua sarda, né apprezzo l'autolesionismo e la politica di esclusione verso chi la pensa diversamente, sia pur impegnato su obiettivi comuni.

La profondità della storia

Inoltre, ho trovato offensivi i giudizi liquidatori nei confronti dei premi letterari, voluti, secondo Corongiu, dalla «cultura egemone» per gratificare «il poeta dopolavorista», «un subalterno, uno che vive ai margini del mondo culturale». Espressioni che hanno il sapore dell'intolleranza e del disprezzo.

Concordo sull'esigenza di difendere l'unitarietà della lingua sarda, ma senza stringerla in un abbraccio mortale, senza uccidere la diversità e la profondità della storia: la Regione Sardegna ha fatto molto attraverso gli sportelli linguistici e la presenza diffusa sul territorio. Il movimento linguistico può lavorare ancora di più con l'Università, che ha inserito la difesa della lingua sarda nel nuovo statuto e intende operare concretamente con il progetto di formazione «Il sardo a scuola», finalmente approvato perché «congruo con la programmazione regionale». Eppure sappiano quanti ostacoli siano stati frapposti, tanto che le somme destinate sono andate in perdute. Nella relazione per l'imminente inaugurazione dell'anno accademico riaffermerò che «l'ateneo ribadisce la volontà di battersi in difesa del bilinguismo e per la promozione della lingua sarda». Sostengo la necessità di una maggiore integrazione tra politiche universitarie e politiche linguistiche regionali.

Tradizione di studi

Il nostro ateneo vanta una tradizione di studi in materia di lingua sarda; la nostra commissione può contribuire a radicare delle competenze diffuse sulle quali si deve costruire una politica linguistica per il futuro. Sono convinto che le posizioni scientifiche sulle quali l'Università si sta attestando non siano di retroguardia: penso anzi che il lavoro linguistico già fatto ci metta ai primi posti in Europa come laboratorio di soluzioni fondate sulla problematicità del territorio. Anche il tentativo di rappresentare i sardi come pocos, locos e malunidos è un modo gravissimo di svalutare la cultura della Sardegna. Dobbiamo partire dal rispetto per i sardi, pronti a confrontarci con chiunque. Il nostro bacino di utenza include studenti che provengono da aree sardofone, ma anche di espressione sassarese, gallurese e catalana, un'area cioè tradizionalmente caratterizzata dalla compresenza di lingue. Circostanza che rappresenta una ricchezza da esaltare e valorizzare.

Credo che ciascuno sia libero di scrivere ciò che crede: in questo caso però il rischio è che la posizione del direttore del Servizio lingua sarda sia confusa con la ben più intelligente posizione dell'assessore Sergio Milia e della Regione Sasrdegna, che sarebbe opportuno venisse precisata in sede ufficiale.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

La Sanità malata

Il buco nero dei medici di famiglia: in Sardegna ci sono 544 sedi vacanti

di Claudio Zoccheddu
Le nostre iniziative