La Nuova Sardegna

Montaldo: «Il nostro cinema in declino»

di Giulia Clarkson
Montaldo: «Il nostro cinema in declino»

Alla rassegna “Le isole del cinema” incontro con il grande regista: «Eravamo i primi, siamo diventati gli ultimi»

31 ottobre 2013
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CAGLIARI. Acuto, ironico, istrionico. All’alba dei 64 anni di attività professionale, Giuliano Montaldo ha l'occhio vigile di chi sa raccontare il mondo e le sue contraddizioni con uno sguardo che non indulge, e tanto fiato nei polmoni da far invidia ai migliori bassi russi. «Sessantaquattro anni di grande precariato, come vuole questo mestiere affascinante ma pieno di problematiche», dice al Cineworld di Cagliari l'ospite del gran finale della due giorni di incontri, workshop e proiezioni dedicata al cinema, sulla scia del circuito dei festival “Le isole del cinema”.

Mestiere duro e difficile, anche allora, agli inizi, quando non sembrava esserci aria di un produttore possibile per quel “Sacco e Vanzetti” che illustra magnificamente l'esigenza, sempre pressante nella produzione artistica di Montaldo, di mostrare l'insofferenza per l'intolleranza. Forse, chissà, se non fosse incappato in un produttore-emigrato che aveva imparato l'inglese attraverso le lettere che Vanzetti scrisse al Comitato di difesa, uno dei film cult degli impegnati anni Settanta, baciato dalla celeberrima ballata di Joan Baez, non avrebbe mai visto la luce. Giochi del destino. O cocciutaggine d'artista. Magie che a volte si intrecciano. Come riuscire a realizzare, negli anni Cinquanta, dopo l'andreottiano «basta lavare i panni sporchi», un film sulla Resistenza in Liguria. Sembrava impossibile. Eppure il film si fece grazie alla sottoscrizione popolare. «Non ci diedero neanche le armi, facemmo fare agli artigiani pistole, fucili e mitra di legno. Normale poi che agli attori venisse da fare buum!».

Il grande regista genovese a cui Marco Spagnoli ha dedicato il gustoso documentario "Giuliano Montaldo. Quattro volte vent'anni" è un vulcano di aneddoti e sorprese. Rende merito a sua moglie Vera, compagna di una vita, tra mille risate e bisticci, preziosa collaboratrice alla regia. Racconta del rapporto con la recitazione, la regia, la scrittura e la musica nel cinema rispondendo alle curiosità di Piera Detassis, Fabrizio Deriu, Enrico Magrelli e Luca Bandirali, svelando inaspettate doti canore e la paternità della voce che interpreta la ballata russa di “Kapò”. «Pontecorvo l'ha saputo solo tre anni dopo», se la ridacchia. Si sofferma sugli scherzi del backstage, per raccontare della modestia di un Ennio Morricone che «ogni tanto mi sforzo di far parlare di film, ma lui preferisce parlare della Roma. Una volta, Elio Petri sostituì apposta il rullo della sua musica dal film. Vidi Morricone farsi piccolo piccolo: se piace a voi... dirà soltanto». Svela anche il primo incontro con Gian Maria Volonté, una schermaglia tra ossi duri sul dove dovesse essere poggiata l'ascia con cui di lì a poco Volonté avrebbe minacciato il suo antagonista.

«Sono stato troppo leggero? Volevate cose più serie?», domanda alla fine dell'incontro. Ma poi le cose serie arrivano. Con il velo di tristezza di chi non si rassegna a vedere il tracollo dei tempi attuali. L'ultimo film del 2011, “L'industriale», nasce dal primo assaggio del trauma che ha colpito la mitica operatività imprenditoriale del Nord Est italiano. «Vedevamo le prima fabbriche chiudere, ma non potevamo immaginare che si sarebbe arrivate al dramma attuale, al suicidio degli imprenditori». Ma il tracollo è più ampio, è del sistema culturale Italia. Annusabile fin dalla seconda metà degli anni Ottanta, quando la Rai cessò di investire sulla ricerca e chiuse la porte in faccia al progetto di tv in alta definizione voluto dall'allora responsabile Massimo Fichera, cassando, dopo l'entusiasmante avvio intrapreso con l'”Arlecchino” di Montaldo e Soleri, il progetto su “L'Inferno”. «Eravamo i primi, siamo diventati gli ultimi. Servirebbe l'isola della tecnologia, oggi. Era difficile anche allora, ma almeno eravamo uniti, c'era l'ideologia e compattezza. Oggi ognuno è sulla propria zattera, agita le proprie mutande sul pennone». La scarsa partecipazione di colleghi e giovani sembra dimostrarlo. Eppure si è discusso di fondi per la cultura, sono stati proposti documentari e workshop legati alle specificità del cinema. Peccato che ben pochi ne abbiano approfittato.

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