La Nuova Sardegna

Nei bazar cagliaritani souvenir di Sardegna con la scritta “mafia”

di Stefano Ambu
Nei bazar cagliaritani souvenir di Sardegna con la scritta “mafia”

In vendita a un euro nei negozi degli stranieri alla Marina. I commercianti promettono: non li importeremo più - FOTO

29 ottobre 2013
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CAGLIARI. Un tempo in Sicilia si vendevano ai turisti le statuine di Turiddu, "u mafiusu" e Mara, "a mafiusa". Quei souvenir, in versione riveduta, cioè solo senza i nomi di battesimo, sono arrivati anche a Cagliari, e sulla base di u mafiusu e a mafiusa c’è scritto SARDEGNA. I commercianti, tutti stranieri, giurano di essere vittime: Kabir, originario del Bangladesh, a Cagliari dal 1998, guarda e riguarda quell’oggetto che ha messo in vetrina nel suo negozio di via Baylle, a pochi passi dal porto. «Non mi praxiri» (non mi piace) dice in casteddaio stretto. Forse c’è da credergli dal momento che vive qui da quindici anni e la mafia, ma anche l’intolleranza razziale, da queste parti, non l'ha mai vista.

Ad avere responsabilità sono certamente i produttori di quella statuina in vendita nelle botteghe della Marina. Da lontano, in una fabbrica di chissà quale continente, hanno scambiato un’isola con l’altra e anche abbigliamento e particolari dato che l' uomo del souvenir sardo ha la coppola in testa, non la berritta, i baffoni neri e porta una cravatta rossa sulla camicia bianca e pantaloni e giacca neri e una lupara.

La donna accanto ha il velo nero in testa e il vestito tradizionale bianco e rosso della Sicilia. Non sembra proprio un costume sardo. Ma anche lei è accompagnata dal bollo di mafiusa. La confusione insomma sembra tanta, la pubblicità per la Sardegna in ogni caso pessima, se questo è il ricordo che devono o possono portare via i turisti che arrivano da altri Paesi.

È vero che si parla spesso del pericolo di infiltrazioni della criminalità organizzata, che viene denunciato l’arrivo dei mafiosi, ma a quanto sostengono gli esperti, Cosa nostra qui non ha ancora messo radici. Resta quindi il caso della statuina che si trova in mezzo ad altri prodotti dello stesso tipo, e sempre di pessima fattura, in cui l'essenza della Sardegna è rappresentata da un faro sul mare azzurro, da una pecora, da un nuraghe o da un cestino con vino e pecorino.

L’errore sicuramente farà torcere il naso a più di un sardo che non troverà la faccenda spiritosa. Kabir, intanto, è mortificato. «È sbagliato – dice – prometto che non le comprerò mai più. Quante ne ho venduto? Mi sembra nessuna, forse solo una, a un turista». Di certo non si è ricoperto d'oro: il souvenir costa appena un euro. «I sardi – si affretta ad aggiungere il venditore – brava gente: mi sono trovato benissimo qui. Peccato (e strofina il pollice con l'indice) che i soldi in giro siano pochi».

Ma da dove arriva l’oggetto incriminato? «L'ho comprata all'ingrosso», dice. Ergo, non è il solo a venderlo. Anche se non è in vetrina, infatti, è in esposizione nelle botteghe degli stranieri della zona. E dunque basta girare l'angolo ed eccone un' altro identico.La titolare del negozio è una cinese. E anche lei prende le distanze: «Sbagliato, sbagliato – si affretta a dire – volevamo rimandare indietro».

Tutti si giustificano, come se non vedessero quello che comprano, mentre cominciano ad arrivare le prime reazioni politiche. Federico Ibba, portavoce regionale Udc, interviene su facebook e sollecita meno buonismo e un fermo intervento da parte del Comune e della Regione.

«Facciano luce su questo episodio gravissimo e soprattutto provvedano a creare le condizioni affinché almeno i nostri souvenir vengano ideati e prodotti in Sardegna – dice – . Immagino le migliaia di turisti che arrivano con le navi da crociera e che portano a casa questa rappresentazione dei sardi. Se gli oggetti fossero prodotti da aziende dell’isola, questo non accadrebbe».

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