La Nuova Sardegna

Abbanoa privatizzata? Deciderà l’Europa

di Mauro Lissia
Abbanoa privatizzata? Deciderà l’Europa

Il costituzionalista Deffenu: le norme sulla libera concorrenza potrebbero prevalere sui referendum

09 ottobre 2013
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CAGLIARI. Potrebbe aprire un caso nazionale l’impegno assunto dall’amministrazione Cappellacci di mettere sul mercato il servizio idrico della Sardegna a partire dal 2025, secondo le condizioni imposte dalla Commissione europea in cambio del via libera alla capitalizzazione di Abbanoa con 148 milioni regionali. La ragione è questa: il 13 giugno 2011 i referendum abrogativi proposti dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua hanno cancellato una dopo l’altra tutte le norme che regolavano la progressiva privatizzazione degli acquedotti e un recentissimo pronunciamento della Corte Costituzionale ha confermato come il governo sia tenuto ad allinearsi alla volontà popolare espressa col ricorso alle urne. Eppure, malgrado in Italia la situazione sia questa, non sembrano esistere certezze sul futuro dell’acqua pubblica e il diktat firmato da Joaquin Almunia nello scambio di note con la Regione Sardegna conferma come il diritto del nostro paese sia sempre più vincolato a quello dell’Unione Europea, con pesanti riflessi sulla sovranità nazionale: «Siamo stretti tra due fuochi – spiega Andrea Deffenu, docente di diritto costituzionale all’Università di Cagliari - perché c’è una volontà espressa chiaramente dai cittadini italiani col referendum del 2011, quella di considerare l’acqua un bene pubblico e di dire un secco e definitivo “no” alla privatizzazione selvaggia. Ma il dibattito sull’efficacia del vincolo referendario è aperto da tempo e direi che non è stata ancora trovata una soluzione. Quindi i dubbi restano».

Lei sta dicendo che la volontà espressa dal 96% degli italiani e dal 98% dei sardi non conta nulla o conta poco per l’Europa?

Per certi versi è così. Se il parlamento italiano non può non considerarla vincolante e non è possibile che approvi una legge in contrasto con quella volontà perché violerebbe il principio costituzionale della sovranità popolare, il discorso cambia se il problema viene affrontato in base al diritto comunitario.

Insomma, non è realisticamente possibile stabilire quali norme prevalgano.

L’anno scorso c’è stato un intervento importante della Corte Costituzionale, che per la prima volta ha riconosciuto la prevalenza della volontà espressa coi referendum sul tentativo avviato prima dal governo Berlusconi e poi da quello guidato da Monti di ripristinare le norme sulla privatizzazione dell’acqua, abrogate per iniziativa popolare. In sostanza i giudici hanno stabilito che non si può sviare la volontà popolare. Ed è un intervento importante, che consentirà di dare battaglia se l’acqua pubblica sarà comunque offerta sul mercato, come la Commissione europea ha imposto alla Regione sarda. Battaglia da combattere anche con buone armi a disposizione, ma senza la certezza di vincere perché la questione resta piuttosto complessa.

Perché dalle parti di Bruxelles la pensano diversamente?

Per l’Europa l’esito di un referendum nazionale è irrilevante. Conta il principio di primazia del diritto comunitario, a quello si deve fare riferimento. In tutta Europa deve affermarsi il principio della libera concorrenza, qualsiasi norma che vada in direzione contraria non ha alcuna efficacia. Per questo ho detto che siamo tra due fuochi.

Ma nell’elaborazione della delibera 35, con la quale l’amministrazione Cappellacci ha motivato la capitalizzazione di Abbanoa, allineandosi alle condizioni poste dalla Commissione europea, è stata violata o no la legge italiana?

È una domanda corretta, io direi che quella delibera è impugnabile come qualsiasi altro atto amministrativo. E il ricorso può essere presentato da chiunque sia legittimato a farlo, come un’associazione riconosciuta che abbia nello statuto uno scopo riferibile al tema nazionale dell’acqua pubblica. Come poi vada a finire è tutta da vedere.

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