La Nuova Sardegna

Nel vecchio carcere la storia di Sassari

di Sandro Roggio
Nel vecchio carcere la storia di Sassari

San Sebastiano, documenti di archivio inediti consentono di ricostruire le origini di un progetto per il suo tempo all’avanguardia

28 settembre 2013
5 MINUTI DI LETTURA





A Sassari, ancora a metà dell’Ottocento, le carceri erano al centro dell'abitato, contigue al palazzo del duca che amministrava la giustizia. Una presenza insopportabile per i cittadini che se ne lamentavano già nel XVII secolo, preoccupati per le condizioni igieniche e i rischi per la salute (la loro salute: non quella dei disgraziati reclusi). Il terribile carcere di San Leonardo – presso "Carra manna" con ingresso dalla "Carra piccola" –, era antico quanto la città. E' stato aggiustato chissà quante volte nell'ottica di ampliarne la capienza, aumentando ciclicamente il rischio di sommosse di carcerati e carcerieri legati dal destino di abitare ammassati quei fetidi locali (in una pianta del 1824 è identificata la stanza del boia e della famiglia costretta a convivere con quelle atrocità).

Gli allarmi per il barbaro trattamento dei detenuti si sono intensificati dappertutto nell'Ottocento. Un tema carico di implicazioni (come aveva spiegato Cesare Beccaria); ma ci vorrà tempo per capire, a Sassari come altrove, che la reclusione riguarda la civitas e interessa gli assetti dell'urbs. Un carcere incivile è ignominia per la comunità che ce l'ha in carico, specie se trascorrono – come a Sassari – cinque secoli per mettervi fine.

Italia preunitaria

A confronto sono nulla i 15 anni occorsi per completare, tra il 1857 e il 1871, il nuovo carcere. L'Italia non è ancora unita quando il governo avviava l'iter per realizzarlo. Scegliendo tempestivamente quella area a sud, marginale quanto basta per tenere i carcerati a debita distanza, ma non troppo. E' appena oltre le mura delle quali si avverte ormai l'inutilità, e comunque ancora in grado di accreditare la distinzione tra il dentro e il fuori. La piazza d'Italia ha già preso forma e da lì sarà ben visibile perché serva continuamente da monito, un po' come il patibolo rizzato di fronte alla chiesa di San Paolo per l'ultima volta nel 1869. L'imponente architettura evocherà l'autorità dello Stato e si integrerà, che piaccia o meno, nel tessuto urbano. Ma se la distanza è destinata ad annullarsi, la chiusura verso l'interno ne confermerà l'alterità lasciando intuire l'abisso di sofferenze. Solo l'ingresso monumentale, come vedremo, guarda verso la città, ma per comunicare la supremazia del giudice sull'imputato sottolineando la gravità dell'atto di chi è costretto a varcare quella soglia. Il dibattito sul regime carcerario ha condotto alla ricerca di una idonea tipologia. Vi concorre l'idea di riformare i metodi punitivi (i vincoli fisici come le catene), e insieme il bisogno di economizzare nella custodia dei detenuti. Ovvio che si preferisca il modello panottico promosso dai fratelli Bentham, in grado di soddisfare la necessità di un efficace controllo sui reclusi da un solo punto di vista.

Il dibattito sulle carceri

Anche il progetto di Sassari sta in questa temperie di rinnovamento funzionale delle strutture per la detenzione. Il suo autore è l'architetto di Asti Giuseppe Polani (1815- 1894) che ha assunto l'incarico nel 1857 sulla base del concorso bandito dal ministero dell'Interno. Per il quale ha progettato le carceri "cellulari" di Torino, Genova, Perugia oltre a quello di Sassari. Un gruppo di lavori che concorrono a costituire il corpus dell'edilizia penitenziaria più evoluta in Italia (insieme al carcere di Alessandria di Henri Labrouste e a quello milanese di Francesco Lucca composto da sei bracci come quello sassarese).

Non sono molte le notizie sul cavalier Polani. La cui storia professionale è legata essenzialmente a questo genere di opere molto specializzate e introverse, sulle quali la critica non si è esercitata volentieri, ragione per cui l'architetto non è celebrato (della sua attività a Torino sono documentate numerose prestazioni per privati, dal 1851 al 1888, e la collaborazione con Carlo Promis per i piani di espansione fuori Porta Nuova). Sviluppa nella edilizia carceraria le tesi dei Bentham. Sperimentando, con varianti tipologiche, il ricorso all'unità radiale in almeno quattro casi (un progetto del 1865 per Chivasso in provincia di Torino resterà sulla carta).

Polani è stato a Sassari una volta dopo l'assegnazione dell'incarico, trattenendosi per il tempo occorrente per accertare lo stato dei luoghi, la disponibilità e i costi dei materiali. Alcuni documenti nell' Archivio della Camera dei deputati, spiegano l'avventura sassarese, conclusa con successo nonostante i contrattempi. Prima nella fase dell'approvazione, quando a sciogliere i dubbi sulla coerenza del progetto è chiamato l'ing. Giovanni Antonio Carbonazzi, considerato ancora il massimo esperto di cose di Sardegna per il suo rapporto con l'isola dai tempi della costruzione della strada reale. Poi nella fase esecutiva, avviata nel 1862 grazie alla legge che ha giù stanziato 860mila lire per un complesso che possa accogliere almeno 340 detenuti. Quando i lavori si interrompono per una verifica richiesta nel 1863 dall'ingegnere capo del Genio di Sassari, responsabile del cantiere. Ritiene la pietra prevista troppo tenera, per cui, d'accordo con l'appaltatore Bernardo Bonomi, si converrà di impiegare quella "durissima" della Crocetta con un aumento di spesa di 377mila lire.

Le celle senza detenuti

Sono trascorsi 150 anni dall'avvio di questi lavori, ma dietro quelle mura il tempo è come sospeso, nonostante le modifiche apportate. La prima prodotta dall'addossamento del Palazzo di Giustizia che ha riempito lo spazio antistante facendosi carico di comunicare con un surplus di retorica la funzione che lì si svolge; negando allo stesso tempo il fronte su cui era l'ingresso monumentale classicista previsto da Polani (le grandi colonne dell'atrio sono per fortuna incorporate nella occlusione). La seconda, più grave e irreversibile, è data dal taglio, in due tempi, dei bracci verso via Roma.

Ho avuto modo di constatare anche questo nella visita fatta "a caldo" dopo il trasferimento dei detenuti a Bancali. La suggestione di un carcere appena abbandonato è molto forte (al punto di scompigliarti le idee sugli usi possibili). E fa capire che il tema è di quelli che contano. In grado, forse, di appassionare una città immemore; ma che è stata al passo dell'Europa, quando portava avanti, nel secondo Ottocento, il vecchio disegno urbanistico integrato da attrezzature in grado in grado di rinnovarne le ambizioni: dall' ospedale al palazzo della Provincia, dal mattatoio al manicomio, dal carcere alla stazione alla caserma al politeama. Ognuna di queste parti notevoli sottintende altrettante nuove storie indispensabili alla città di domani. Servirà un istruttoria molto pertinente per evitare che il confronto sul ruolo dell'ex carcere di San Sebastiano sia estemporaneo e infruttuoso.

In Primo Piano
L’intervista in tv

Alessandra Todde: «L’Italia non è il paese della felicità che racconta la premier Giorgia Meloni»

Le nostre iniziative