La Nuova Sardegna

Corongiu: «Sardo, lingua normale ma schiava dei pregiudizi»

di Felice Testa
Corongiu: «Sardo, lingua normale ma schiava dei pregiudizi»

Intervista con il direttore del Servizio lingua sarda della Regione: «Non è un’accozzaglia di dialetti. Bisogna liberarsi dagli stereotipi e dai pregiudizi diventati, purtroppo, senso comune»

23 settembre 2013
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CAGLIARI. Il dibattito sulla lingua sarda soffre, da tempo, della sindrome del criceto. Pedala freneticamente sulla ruota, alimentato dalle foglie di insalata fornite con generosità da intellettuali, linguisti, accademici, media, e non va da nessuna parte. Una coazione a ripetere che costringe a riproporre sempre lo stesso modello, prigioniero di luoghi comuni, tanto deboli quanto immarcescibili, e a ripartire sempre dallo stesso punto: la terra di nessuno delle dicerie, dove langue, esausta, una lingua che secondo l'Europa è destina a scomparire entro pochi decenni.

“Il sardo una lingua “normale”, sottotitolato “Manuale per chi non ne sa nulla, non conosce la linguistica e vuole saperne di più o cambiare idea”, volume edito da Condaghes scritto dal direttore del Servizio lingua sarda della Regione autonoma della Sardegna, Giuseppe Corongiu, è un atto d'accusa verso chi condanna il sardo a una lenta estinzione relegandolo al ruolo di “lingua strana”, accozzaglia di dialetti locali, specchio di una frammentazione culturale del popolo di Sardegna, mirabilmente condensata nel proverbio autoinflitto, di “chentu concas, chentu berritas”, sintesi estrema degli innumerevoli pregiudizi sui sardi.

Al tempo stesso, l'opera di Giuseppe Corongiu, autentico pamphlet militante, mette sotto “inchiesta” i comportamenti del Movimento linguistico, i ritardi, i cedimenti alle linee culturali dominanti, quasi interamente italofone, che hanno indebolito il sardo, sempre meno parlato, anche negli ambiti ristretti della famiglia e delle relazioni personali, e mai assurto a lingua colta, di uso comune e interdisciplinare, mai riconosciuto dalla politica e dai sardi stessi come mezzo di comunicazione alto e meritevole di dignità istituzionale garantito dallo status di un bilinguismo compiuto insieme all'italiano.

Cosa vuol dire che il sardo è una lingua normale?

«Significa provare a guardare alla nostra lingua storica, e alle altre preziose lingue della Sardegna, cancellando tutti i luoghi comuni, pregiudizi, stereotipi e bugie che la avvolgono, ma che purtroppo sono diventati senso comune. Significa avere il coraggio di dire che buona parte di quello che si sente dire in giro sul sardo è falso. Significa fare esercizio di libertà di pensiero liberandosi dall'orientalismo in salsa sarda».

Che cosa c'entra l'orientalismo con la Sardegna?

«Edward Said ha scritto un famoso libro con questo titolo nel quale descrive come l'Occidente ha creato miti colonizzatori e discriminatori sull'Oriente prima, durante e dopo il colonialismo diffondendoli agli stessi orientali. Gli stessi confini degli stati orientali sono stati tracciati dagli occidentali così come generazioni di classe dirigente sono state formate con il punto di vista occidentale su politica, societa, lingua, cultura  e indipendenza. Ho fatto un salto sulla sedia quando ho letto che Said riteneva le cattedre di filologia come l'arma più pervasiva per piegare gli orientali alla visione occidentale di se stessi. In Sardegna - mi sono detto - in scala è successo qualcosa di molto simile. Lo sguardo esterno sulla nostra lingua, di scrittori, osservatori e antichi colonizzatori, è diventato 'nostro' con la mediazione della nostra classe intellettuale. Vediamo la lingua come vogliono i suoi nemici».

Chi sono, allora, i nemici della lingua sarda?

«Nel libro ho fatto nomi e cognomi. Sono coloro che per pigrizia, incompetenza o malafede creano o diffondono gli stereotipi linguistici che rendono il sardo apparentemente inservibile e pericoloso alla vita sociale, culturale e istituzionale. Sono quelli che dipingono il sardo come una lingua speciale, anomala, anormale: cioè dialetto sotto mentite spoglie. Spesso filologi, accademici, politici o scrittori. Ma anche  opinion leaders della classe media istruita: giornalisti, insegnanti, preti , sindacalisti, presentatori televisivi, artisti. Il risultato è che guardiamo a noi stessi e alla nostra lingua con lenti deformanti».

Quali sono i principali luoghi comuni sul sardo?

«Che il sardo sia una specialissima lingua arcaica più vicina al latino di altre. Con buona pace di Dante e Wagner, è stato confutato da almeno sei studiosi a livello internazionale. Che i cosiddetti logudorese e campidanese siano così lontani e inconciliabili tra loro l'ha smentito già dagli anni Ottanta, Michele Contini, massima autorità accademica dell'Atlante Linguistico Internazionale Romanzo. Che i sardi non si capiscano tra loro lo sosteneva Fazio Degli Uberti ma non è cosi. La tesi che i dialetti meridionali siano brutti e corrotti è stata ridicolizzata da Roberto Bolognesi. La diceria che il sardo disturbasse l'apprendimento dell'italiano demolita da Antonella Sorace dell'università di Edimburgo che invece ha dimostrato che i bimbi che parlano sardo e italiano imparano meglio l'inglese.  Ora va di moda anche dire che ci si occupa di lingua sarda per avidità. Un'accusa gratuita, offensiva  e non suffragata dai dati: il servizio Lingua Sarda regionale resta quello con minore dotazione finanziaria tra tutti quelli culturali nonostante lo sforzo recente delle autorità».

Qual è la differenza tra lingua e dialetto?

«Il vero capolavoro dei mistificatori è stato quello di tradurre in 'Linguistichese' il termine 'dialetto' con 'variante' o 'varietà' cosi i sardi, politici compresi, non ci hanno più capito niente. Con questo mimetismo lessicale puoi dire che il sardo è un dialetto senza che nessuno se ne accorga. Ma siamo così poco avveduti? In realtà si tratta di un giudizio politico-sociale, scientificamente la differenza non è rilevante: un dialetto viene promosso a lingua per fattori giuridici, culturali, sociali, identitari, istituzionali insieme. Una lingua non è altro che un sistema, un insieme, una 'famiglia' di dialetti imparentati tra loro. Le più fortunate vengono dotate di una scrittura codificata e unificante che è un altro elemento importante che distingue una lingua legittimata da un guazzabuglio di dialetti. L'intuizione di Diego Corràine era giusta».

La Lingua sarda comuna (Lsc) è accusata di essere una lingua artificiale. E' vero?

«Mi verrebbe da rispondere si è vero, ma siamo in buona compagnia con le lingue scritte di tutto il mondo che certo non sono naturali. Ma tutti questi spropositi tipo 'lingua di plastica' o 'ogm' diffusi dai linguisti antisardi farebbero ridere chiunque in qualunque sede linguìstica internazionale. È ovvio che una lingua scritta è artificiale, cosa dovrebbe essere? La lingua è un prodotto della cultura, non della natura. Ma qualcuno gioca sporco sull'ignoranza generale italiana, e dunque sarda, in termini di lingue. Non ci facciamo bella figura con questo livello di dibattito. Compresi alcuni poeti e attivisti della lingua che sono caduti nella trappola».

I sardi come percepiscono l'uso del sardo?

«La popolazione è più avanti degli intellettuali da luogo comune, almeno secondo i dati della Ricerca Sociolinguistica Regionale. Solo il 28 per cento è contraria alla lingua standard. C'è un diffuso affetto per la lingua, con percentuali di consenso bulgare. Certo i problemi sono la deprivazione linguìstica di molti che ormai, come dice il sociologo Alessandro Mongili, è una condizione e non una scelta, e la trasmissione intergenerazionale che è forte solo in certe aree. Qualcosa però succede nelle aree urbane, in particolare a Cagliari dove il sardo sta per diventare di moda».

Questo impasse è colpa della politica nazionale?

«Oggi, secondo me, no. In passato il colonialismo iberico e italiano ha fatto la sua parte. Ma oggi la questione della lingua è una questione di democrazia interna mancata. Alcune élite che hanno prosperato sul monolinguismo impoverendo il territorio si oppongono pervicacemente con gli stessi argomenti stereotipati da trent'anni per confondere la popolazione e influenzare i politici. L'obiettivo è rallentare fino allo sfinimento il Movimento Linguistico e creare l'effetto 'ruota del criceto'. Discutere sempre delle stesse banalità per anni allo scopo di mantenere lo statu quo monolingue».

La questione della lingua sarda è scindibile da una prospettiva politica indipendentista?

«Assolutamente sì. Lo dico per onestà intellettuale nonostante la mia militanza culturale sul fronte dell'autodeterminazione fin dall'adolescenza. La lingua è un fatto popolare, di identità generale: non può essere egemonizzata da un singolo progetto politico. Il sardo è di tutti. Per un democratico o un moderato la motivazione della tutela risiede nel sacrosanto rispetto di un diritto civile. Del resto, mi preoccupano di più certuni indipendentisti immaginari che non usano, ridimensionano o non mettono tra le priorità la questione linguistica. Non sono credibili e sono destinati al fallimento per manifesta subalternità culturale».

Quali sono i passi necessari per l'affermazione del sardo?

«Uscire dalla melma bloccante degli stereotipi nella quale si sono impantanati molti politici paurosi e molti degli stessi cultori e attivisti. Volere un sardo scritto in varianti significa, nel resto del mondo, che il sardo resti un dialetto/dialetti e non altro. Quando lo dice l'Anas, il Miur o la Cassazione insorgono tutti. Poi, viene ripetuto dagli orientalizzati e nessuno fiata. Curioso comportamento. Inoltre, le altre lingue presenti in Sardegna (gallurese, turritano, catalano e tabarchino) non sono un pericolo per il sardo, anzi vanno standardizzate e tutelate con pari dignità nei rispettivi territori. Il sardo è una lingua normale, tanto normale che ha le sue 'lingue minori' da tutelare a sua volta».

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