La Nuova Sardegna

«Ho un sogno sulla Sardegna: Una “corporate identity”»

di Paolo Curreli
«Ho un sogno sulla Sardegna: Una “corporate identity”»

Philippe Daverio a Villacidro per il Premio Dessì parla delle potenzialità dell’isola. «Una terra raccontata male: all’oblio si è sovrapposto il mito “briatoriano”»

22 settembre 2013
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Philippe Daverio è l’uomo che ha accompagnato gli italiani passo per passo a scoprire l’enorme patrimonio di cui sono spesso inconsapevoli eredi. Ha condotto la serie “Passepartout” su Raitre e Emporio Daverio su Rai 5. Collabora al mensile del Corriere della Sera "Style Magazine”, ma è anche animatore del movimento di opinione "Save Italy". Ha invitato gli spettatori al suo tavolo, ha tagliato una fetta di panettone per loro, raccontando come dietro ogni angolo del paese ci sia una storia meravigliosa. Seguito e amato – da un pubblico sempre più ininfluente – per la sua cultura, il suo poco italico “sense of humor” e per i suoi meravigliosi panciotti, Daverio è stato messo da parte da una Rai in preda ad appetiti esterni e poco incline alla cultura, anche a quella raccontata con gusto e con stile.

Daverio è in Sardegna per ricevere un riconoscimento speciale dagli organizzatori del Premio Dessì; con lui Pinuccio Sciola che riceve un premio per la sua carriera artistica. Oggi saranno gli ospiti d'onore della cerimonia in programma a partire dalle 18 in piazza Municipio, in cui verranno proclamati i vincitori del Premio Dessì.

«La Sardegna è una terra meravigliosa raccontata male. Ha sempre sofferto di “damnatio memoriae” – dice lo storico dell’arte – fin da quando è sparita, per pudore, dalla carta intestata del Regno dei Savoia. Una terra selvaggia condannata all’oblio. E su questo lungo silenzio si è sovrapposta l’immagine odierna “briatoriana”, tutta lustrini e panfili. Immagine marina a cui fa da contrappunto quella interna del folclore “sono come tu mi vuoi”. Devo dire altrettanto finta». Situazione disperata e irrimediabile. Ma forse per Daverio esiste una via d’uscita. «Un patrimonio enorme e unico al mondo, dai tesori del museo archeologico di Cagliari, a quello dedicato a Nivola ad Orani. Gioielli assolutamente sconosciuti al mondo. È qui il problema, una completa ricostruzione dell’immagine, una rifondazione del mito dell’isola» Insiste lo studioso: «Se chiediamo a un tedesco di indicare tre cose del suo immaginario sulla Sicilia riuscirà a indicarle, dai templi greci alla mafia. Se poniamo la stessa domanda sulla Sardegna sarà ben difficile uscire dal mare e dagli yacht. Si possono raccontare tante cose, ma è essenziale la mutazione del mito Sardegna. C’è d’aggiungere che la questione del degrado generale e del disinteresse nei confronti del patrimonio culturale appartiene a tutta l’Italia, isole comprese, mai come in questo caso mi pare la definizione esatta. Ma un ragionamento serio andrebbe fatto. La mancanza di prospettive e l’incapacità di programmarle è un aspetto tremendo del nostro paese».

Philippe Daverio ha un sogno. «È già da un po’ che vorrei lavorare a un progetto concreto sulla Sardegna. Non solo per la sua affascinante storia di terra antichissima, per la sua rara e preziosa bassa densità di popolazione, ma anche per le grandi personalità contemporanee. Pinuccio Sciola con le sue sculture telluriche è uno dei massimi scultori europei. Gli artisti sardi del Novecento talenti originali e misconosciuti. Ho incontrato Marcello Fois al Campiello, una personalità davvero interessante. Vorrei poter lavorare a una cosa che manca nell’isola, quella che si chiama “corporate identity”– svela lo studioso italo-francese –. E lo dico perché sono convinto che sia proprio quello che serve. Ben difficilmente le personalità e i talenti e i tesori della Sardegna, che ho incontrato e conosco sono noti a livello internazionale».

Ma nella realtà dell’isola già qualcuno investe nell’arte come per la scultura che fuoriesce dal mare a Golfo Aranci a intervalli regolari e raduna folle di estasiati portatori di telefonino, una cosa che funziona dicono gli ideatori. «A queste cose aveva già risposto il maestro del teatro di Weimar a Goethe qualche anno fa. Il giovane Goethe avrebbe voluto mettere in scena Shakespeare ma il pubblico desiderava l’equivalente dei programmi berlusconiani del periodo. Allora il maestro del teatro lo consolò: “Diamo loro non quello che gli serve ma quello che vogliono”. Questa è la mentalità del politico, il breve periodo e non la visione prospettica». «Sono però convinto che la richiesta di identità nel mondo globalizzato di oggi sia fortissima – aggiunge Daverio – e l’incredibile identità della Sardegna, che ci arriva intatta da quattro millenni di storia, è sicuramente un argomento su cui si potrebbe lavorare; non si può essere noti al mondo, ripeto, per l’ultimo panfilo che è passato con una simile storia alle spalle». Identità, un tema caldo, ma quasi sempre è la lingua e non il paesaggio per i sardi. «È un tema centrale e fondamentale, l’identità è sempre divisa in due aspetti: quello che guarda verso l’esterno a come ci guardano gli altri e quello che ha una visione interna. Come ci vediamo e ci definiamo noi». Ma Philippe Daverio ha un’altra confessione da fare. «Amo la Sardegna perché ho una straordinaria e totalizzante passione, i cavalli. Anche questo pare sia un aspetto poco noto al di fuori dell’isola e di una ristretta cerchia di appassionati: la diffusione e la cultura dell’equitazione nell’isola. Un mondo pieno di meraviglie e di tantissime professionalità».

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