La Nuova Sardegna

I sardi senza lavoro non saranno casalinghi

di Chiaramaria Pinna
I sardi senza lavoro non saranno casalinghi

Rifiutano l’idea che questo è il destino di molti dei 127 mila disoccupati Qualcuno ammette: «Lo farei, se almeno mia moglie avesse un impiego»

02 settembre 2013
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SASSARI. In Sardegna sono rimasti a casa in 127mila. Un esercito di disoccupati di cui, la maggior parte, uomini. Che fanno? Raramente lavori alternativi, perchè mancano le opportunità, stanno a casa, ma pochi ammettono di dedicarsi alla cura della famiglia anche perchè i pregiudizi nei confronti dell’uomo casalingo sono sempre forti, come se le tradizioni impedissero di prendere atto di una società che cambia. Nè qualcuno dice di avere optato per una politicamente corretta interscambialità dei ruoli e neppure se ne parla, tanto si è presi dall’altra grave crisi, quella economica.

A dimostrare che negare il fenomeno è frutto anche di una tangibile arretratezza culturale sta il fatto che nemmeno un sardo è iscritto all’Associazione uomini casalinghi (Asuc), sede in Toscana, che tra i suoi 5.900 adepti sparsi in tutta l’Italia non ha un solo simpatizzante nell’isola. «Ci siamo domandati molte volte il perchè – dice Fiorenzo Bresciani, presidente dell’associazione – eppure i siciliani sono stati tra i primi ad aderire, ci conoscono tutti, i sardi invece ci snobbano, oh come mai?». Forse solo per un senso di disagio.

Eppure tra comparsate in tv, articoli, sito internet, l’associazione ha una grande visibilità, ma nulla ha smosso i sardi che testardi non ammettono di prendersi cura della casa e dei figli mentre le compagne provvedono alla famiglia anche e soprattutto da un punto di vista economico.«Quello dei casalinghi è un fenomeno in ascesa dettato da necessità o scelta – spiega Fiorenzo Bresciani – noi ci impegnamo a promuove un nuovo modo di vivere la casa e la famiglia per un riconoscimento culturale e burocratico dell'attività di casalingo in un momento in cui l’equilibrio tra famiglia e lavoro è ormai diventato una necessità sociale». Per la cronaca: lui gestiva un’avviata macelleria e l’ha chiusa, la moglie è un medico.

La verità è che ogni volta che si perde il posto la depressione è tale che nessuno vuol sentir parlare dell’ipotesi di caricare lavatrici, anzi l’idea sottolinea il senso di frustrazione. La realtà dell’isola quindi può sintetizzarsi in due storie:«Lavoro due mesi l’anno, dopo 24 anni trascorsi a Ottana non ho diritto a nulla, nemmeno alla disoccupazione perchè non raggiungo sei mesi di contributi. E mia moglie è disoccupata, come i mei figli di 30 e 34 anni». Giovanni Concas di anni ne ha 58. Carpentiere montatore, lavora i pochi giorni in cui viene chiamato da una impresa di manutenzioni di Montalto di Castro «perchè sanno che possono fidarsi di me», dopo una lunga esperienza a Sarroch e a Bolotana. Poi più nulla e ora dice: «Non ho più niente».«Come trascorro il tempo? Nervoso. Dò una mano a mia moglie. Mi arrangio. Fare il casalingo? Magari fosse possibile, significherebbe che almeno lei ha un lavoro, invece tra un po’ non avremo di che vivere, non sapremo come andare avanti perchè fino a 65 anni resterò senza la pensione».

«Io di anni ne ho 42 anni e mi ritrovo a fare l’emigrante – aggiunge Antonello Nughedu dopo 20 anni a Cagliari e a Tortolì come meccanico alla Sices è tutto cambiato. Non ci sono più soldi. Ora siamo noi ad emigrare tra mille difficoltà per uno stipendio che in parte lasciamo nei Paesi che ci ospitano ma dove troviamo tante difficoltà per ambientarci, proprio come quando i nostri nonni partivano con la valigia. Siamo costretti a fare questa scelta. Forse in pochi lo sanno, ma bulgari, polacchi, romeni non vogliono gli italiani.... Forse perchè sul lavoro, professionalmente, siamo considerati i migliori. Se avessi un gregge, un pezzo di terra, non partirei più. L’errore è stato scegliere l’industria per lo sviluppo di quest’isola e costringere i pastori a diventare operai. Ecco qual’è la realtà». Una realtà drammatica che viene affrontata nella più totale solitudine.«La nostra associazione serve anche a questo, a non sentirsi unico con i propri problemi» – commenta Fiorenzo Bresciani – Certo non risolviamo, ma siamo di sostegno soprattutto per chi ha tra i 30 e i 55 anni, e in particolareo per quegli uomini che, oltre al problema del lavoro spesso devono fare i conti con una separazione dalla moglie o l’affido dei figli».«Riceviamo tante mail di uomini che cercano di prepararsi ad affrontare una situazione difficilissima – aggiunge – sapendo che il giudice non affiderà mai un bambino a chi non saprà prendersene cura». E allora l’Asul interviene insegnando a gestire una casa, un bucato, una cucina con una full immersion sulla riorganizzazione dell’esistenza per non guardare con terrore un frullatore. «Insegniamo tutto, dall’abc: come stendere il bucato per non perdere tempo a stirare, come utilizzare prodotti naturali per il bucato risparmiando un sacco di soldi . In tempi di crisi – assicura il leader – si fa così».

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