La Nuova Sardegna

Cagliari, l’Authority vuole la zona franca doganale

di Stefano Ambu
Cagliari, l’Authority vuole la zona franca doganale

Il presidente Massidda: progetto su un’area di 30 ettari, trattiamo con la Regione Costo di dieci milioni di euro per i nuovi uffici, le infrastrutture e la sicurezza

03 luglio 2013
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CAGLIARI. Sardegna zona franca? Non esageriamo. Per ora si può partire da trenta ettari nel porto canale di Cagliari. Zona franca doganale per la precisione, giusto per non fare confusione con quelle urbana e quella fiscale. Le trattative con la Regione, in particolare con l'assessorato all'Industria, sono state già avviate. La proposta partita dall'Autorità portuale è stata già avanzata ed è quella di una Zf ridotta rispetto all'ipotesi “maxi” da 900 ettari.

Costo dell'operazione, circa dieci milioni. Lo ha annunciato il presidente dell'Authority Piergiorgio Massidda ieri mattina nel corso di una conferenza stampa nella sede del molo Dogana parlando del «porto (di Cagliari) che corre». «Il recinto – ha detto – c'è già, bisogna solo allargarlo. Si tratta di realizzare anche degli edifici per ospitare le forze dell'ordine, sistemare telecamere, infrastrutture. Può essere un punto di partenza: bisogna procedere per step».

I vantaggi? «Primo – ha detto Massidda – la sospensione dei dazi doganali, paghi solo quando la merce esce non quando è depositata. Secondo, fuori Schengen non si paga niente. Se noi ci proponiamo, come abbiamo fatto, per ospitare il materiale per realizzare 100mila appartamenti ad Annaba, in Tunisia, e dobbiamo trasferire lì ad esempio i sanitari dalla Cina, il vantaggio è consistente».

Una possibilità in più anche per le triangolazioni Sud America-Sardegna-Nord Africa sul trasporto ad esempio delle carni sarà offerta dal Pif, punto di ispezione frontaliera: lunedì c'è stato il via libera dell'Authority. Duecentotrenta giorni di lavori per un'operazione dal costo di 1,2 milioni.

Ora per la mini zona franca si aspetta la risposta della Regione . L'Authority può contare anche sull'appoggio degli operatori. In primis della Cict, la società del gruppo Contship, che gestisce gran parte dei traffici del porto canale. Il ragionamento è molto semplice: «Le agevolazioni fiscali – ha detto Franco Cupolo, direttore generale di Cict – potrebbero consentire, come è successo ad esempio in Egitto, di localizzare le imprese. Meglio un gettito fiscale ridotto, ma con la presenza di aziende, di un gettito pari a zero perché non ci sono aziende». Anche perché dietro le gru e le banchine del porto canale c'è un'area grande almeno quanto la zona occupata dal centro urbano di Cagliari. Un'area con un potenziale da centinaia di aziende e migliaia di posti di lavoro. Movimenti in pressing con ricorso al Tar indirizzato proprio all'Autorità portuale di Cagliari. «Ma bisogna fare chiarezza – ha detto Massidda –. Per noi sarebbe addirittura controproducente partire con una zona franca da 900 ettari. Non sta in piedi né sotto il profilo economico, con spese enormi, né sotto quello pratico». Sul tema zona franca intanto spunta una novità, le Zes, zone economiche speciali. «Possono essere la terza soluzione – ha spiegato Massidda – qualcosa di più della zona franca doganale e qualcosa in meno rispetto a quella fiscale. Siamo reduci da un convegno a Gioia Tauro per un approfondimento dell'argomento: stiamo valutando anche questa ipotesi». Sulla zona franca fiscale intanto è stata depositata la relazione dell'esperto incaricato dall'Authority, il tributarista genovese Victor Uckmar. In questo caso il progetto è più ampio: un traguardo a cui si deve arrivare con calma e consapevolezza. Per ora l'ipotesi più realistica rimane quella della zona franca “in piccolo”. Un test per capire se funziona davvero. E se può essere sul serio una delle soluzioni per risollevare l'economia in Sardegna.

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