La Nuova Sardegna

Scarichi velenosi in porto, il pm chiede il processo

di Elena Laudante
Scarichi velenosi in porto, il pm chiede il processo

Sassari, corsa contro il tempo per evitare la prescrizione sull’ex petrolchimico. Quattro manager di Syindial, Sasol e Vinyls imputati di inquinamento colposo

29 maggio 2013
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SASSARI. E ora scatta la corsa contro il tempo. Per evitare la prescrizione e aprire il processo sui flussi di cadmio, mercurio, Pcb (il letale policlorobifenile), e ancora benzene, rame, zinco, cianuri che sarebbero stati scaricati in mare da alcuni impianti dell’ex petrolchimico di Porto Torres, fino al 2006, attraverso le fogne dello stabilimento. E che avrebbero avvelenato i pesci e la flora della Darsena. Il pm che indaga sulle società Syndial (Gruppo Eni), Sasol Italia e Ineos Vinyls Italia ha firmato la richiesta di rinvio a giudizio per quattro rispettivi manager, Gianfranco Righi (allora rappresentante legale Syndial), Guido Safran (rappresentante legale Sasol), Diego Carmello e Francesco Maria Apeddu (rappresentante legale e direttore stabilimento Ineos), da oggi imputati di avvelenamento colposo del mare di La Marinella (lo specchio davanti allo stabilimento), disastro ambientale colposo, e poi della violazione delle norme che stabiliscono quali sostanze possano essere smaltite attraverso gli scarichi industriali.

Erano state proprio le condizioni di alcuni scarichi che portavano i flussi di scarti nella rete fognaria del petrolchimico, a far ipotizzare al primo titolare dell’inchiesta, Michele Incani, che i padroni della Chimica a Porto Torres abbiano volutamente avvelenato acqua e pesci, e perciò aveva contestato loro reati dolosi, da Corte d’assise. Ma qui il processo si era arenato di fronte a un difetto procedurale (luglio 2012), le carte erano tornate alla Procura e il nuovo assegnatario del fascicolo, il pm Paolo Piras, ha cambiato impostazione giuridica. E accusato i quattro imputati di reati colposi: una differenza di pena massima, ovviamente in caso di condanna, che sfiora i 15 anni. Il nuovo processo rischia di non arrivare mai in Tribunale, salvo per un solo reato. Perché tutte le accuse sono riferite all’anno in cui i tecnici della Procura aveva accertato il superamento dei limiti nelle immissioni a mare di quei veleni: il lontano maggio 2006. E per la gran parte delle ipotesi la prescrizione spazzerà via reati ed eventuali sanzioni entro metà 2014. C’è solo una contestazione, quella di disastro colposo con pericolo per l’incolumità pubblica, che si riferisce alla possibile alterazione permanente di flora e fauna, che forse potrebbe essere estinta a 15 anni dai fatti. Ma questa sarà materia per avvocati e giudici.

Per la sua parte, la procura della Repubblica ha esercitato l’azione penale certa che il petrolchimico sia stato l’unico colpevole dell’inquinamento rilevato ormai innumerevoli volte a Porto Torres. Presto sarà fissata l’udienza preliminare, e inizierà la battaglia dei difensori Piero Arru, Agostinangelo Marras, Luigi Stella, Grazia Volo, Fulvio Simoni, Mario Brusa, Luca Santa Maria e Giovanni Mattu. Il rischio concreto è che le preoccupanti considerazioni dei periti nominati dal pm Incani, frutto di analisi effettuate tra dicembre 2005 e maggio 2006, restino lettera morta.

C’è scritto, in quelle pagine fitte di sigle chimiche e riferimento normativi, che negli anni, nelle fogne dell’impianto, sono finiti reflui industriali contenenti sostanze pericolose ben oltre quanto permesso dalla legge. Mercurio, cromo totale, cadmio, benzene, oli e idrocarburi, dicloroetano 1,2. Sostanze che rientrano nelle classi di cancerogenicità dell’Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro di Lione, agenzia dell’Organizzazione mondiale della Sanità. Al mare sarebbero arrivati attraverso «la mutua diluizione dei flussi immessi nella rete fognaria», che sarebbe avvenuta collegando, in sostanza, scarichi degli impianti produttivi con quelli di raffreddamento, cioè scarichi provenienti da settori diversi. E questo è stato rilevato dalla presenza di sostanze inquinanti lavorate in linee di produzione distinte da quelle a cui gli scarichi facevano riferimento. Proprio in questo modo, assicura il pm, sarebbe stato causato un disastro ambientale insanabile: nulla potrà mai azzerare i danni a flora e fauna del mare causati dai giganti della Chimica. Analisi sul pescato avevano svelato probabilità di cancerogenicità del 100 per cento. Forse i veleni sono ancora lì. Il processo, però, potrebbe essere già finito.

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