La Nuova Sardegna

La Storia e l’oblio: “Io ho visto”

di Claudio Salvaneschi
La Storia e l’oblio: “Io ho visto”

Un libro e un progetto aperto sul web di Pier Vittorio Buffa. Il giornalista dà voce ai testimoni delle stragi nazifasciste

22 aprile 2013
4 MINUTI DI LETTURA





"Io ho visto" è il grido sommesso eppure lacerante, profondo che squarcia troppi lunghi anni di parziale rimozione, annoiata indifferenza o colpevole dimenticanza, per far risuonare di nuovo il monito terribile, quel "mai più" che in realtà rischia di restare troppo spesso retorica inascoltata.

In "Io ho visto" Pier Vittorio Buffa riapre la porta della Storia che è alla base della nostra Repubblica, le radici della Resistenza e dell'opposizione agli orrori nazifascisti, troppe volte ricacciate nell'oblio da una politica con valori sempre più evanescenti e confusi.

«"Io ho visto" - spiega la presentazione del libro - nasce per non disperdere la memoria di quegli orrori vissuti durante l'occupazione nazifascista dal 1943 al 1945. Storie personali di chi è stato a un passo dalla morte, con la descrizione della complessa convivenza di ciascuno con la propria memoria, il proprio futuro, il perdono».

Pier Vittorio Buffa, grande cronista, si cala e scava in una memoria già depurata dall'odio, dove traspare dolore infinito, sgomento e il senso forte di avere una missione ancora, da parte di chi racconta, quella di non fare sconti alla memoria, di restare monito vivente di quello che "l'uomo ha fatto all'uomo", per non dimenticare. Un conto da pagare c'è sempre, fosse anche solo quello del ricordo.

Il libro racconta trenta storie di donne e uomini «che hanno visto uccidere, che sono sfuggiti alla morte per caso, che convivono da 70 anni con la tragedia immane» del vortice di quell'Italia insanguinata e occupata dai nazisti.

«Ci sono parole che non si possono perdere - scrive Buffa nell'introduzione -. Me l'ha fatto capire, una sera, il sindaco di un paese attraversato dai nazifascisti. E l'ho ricevuto come un ordine perentorio. Una di quelle cose da fare subito, perché vanno fatte. Le parole sono andato a cercarle paese per paese… Quando senti raccontare "qui hanno ammazzato la mia mamma, qui la mia sorella, qui il mio babbo"…o ascolti una frase come "avevo sulla camicia il cervello della mia mamma" non hai più nulla da dire. Devi metterti lì, piccolo come sei, a battere i tasti del computer per mettere insieme angoscia e serenità, cercare di fare in modo, per quelle che sono le tue capacità, di raccontare ciò che uomini e donne hanno provato in quei giorni».

Da Marzabotto a Montefiorino, da Sant'Anna di Stazzema agli eccidi nell'Aretino, a Castiglione di Sicilia, a Pietransieri nell'Aquilano, c'è una lunga striscia di sangue, massacri ed efferatezze dei nazifascisti contro la popolazione civile, donne, anziani e bambini vittime di una guerra feroce che nell'ansia di distruzione non fa più distinzioni, dove gli uomini diventano belve guidate solo da una ideologia disumana e dall'ansia di non dover riflettere su cosa vuol dire davvero l'alibi del "rispondere agli ordini", dove si aprono le porte di un inferno che fa a pezzi il senso stesso dell'essere uomini.

I titoli dei capitoli già da soli evocano un. universo dove il dolore urla, è carne viva, e non si è mai spento: Adriana, speriamo di morire tutti"; "Giovanna, Nonna aiuto ci sono i tedeschi; "Iole e Stefano, volevano uccidere tutti"; "Lauretta e Celso, il tiro alla bambina"; "Maddalena, gli stivali dell'assassino".

Il senso di come quelle storie restino ancora reali e fin troppo attuali lo da Buffa scrivendo: «Sono occhi di italiani che hanno visto quello che è accaduto in Italia in quegli anni. Ma potrebbero essere occhi di chi ha visto quello che è accaduto nei Balcani o in qualunque altra parte del mondo. Ieri come oggi o domani».

Ma c'è un problema, dice a un tratto Buffa. Sì, è un problema enorme in questa Italia dove il dolore resta ma la memoria diventa labile, sfuggente, ambigua, troppo spesso umanitaria non con le vittime ma con i colpevoli, convinte che il tempo "tronca e sopisce" come diceva il Conte Zio dei Promessi Sposi. E invece, sembra dire Buffa, no, il tempo acuisce soltanto il senso della giustizia negata, la fa diventare scandalo, orrore, vergogna.

«I tribunali militari italiani hanno condannato un certo numero di ex-militari tedeschi alla pena dell'ergastolo - ricorda Buffa -. Li hanno ritenuti responsabili delle stragi, hanno stabilito che quei militari hanno ucciso donne, uomini e bambini, hanno sancito, documenti e testimonianze alla mano, le colpe di ciascuno. Però, dopo le sentenze, non è stato consentito a un poliziotto di bussare alla casa di un assassino per dirgli che doveva andare in galera. Anche solo per dirglielo, non perché ci dovesse andare davvero. È anche per questo che è nato "Io ho visto». Le responsabilità penali e individuali si sono quasi dissolte nelle partite tra Stati sovrani… le responsabilità oggettive sono sparite nei trattati internazionali… Ma a mantenere viva la memoria c'è ancora chi può dire "Io ho visto". E ci siamo noi che possiamo scrivere, leggere, raccontare, tramandare. Per più generazioni, perché la memoria sopravviva sempre.

Video

Raggiunto l'accordo per la Giunta, Alessandra Todde: «I nomi degli assessori subito dopo Pasqua»

Le nostre iniziative