La Nuova Sardegna

Crac Ila, condannato Molinas

di Mauro Lissia
 Crac Ila, condannato Molinas

Sedici mesi all’industriale calangianese, ammende a 2 sindaci, assolto Meconcelli

16 aprile 2013
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CAGLIARI. Gianfranco Molinas, uno dei re del sughero di Calangianus, è colpevole di bancarotta fraudolenta e paga con la condanna a un anno e quattro mesi di reclusione la gestione disastrosa dell’Ila di Portoscuso, l’industria di produzione dell’alluminio finita in fallimento nel 2009 con trecento operai rimasti sulla strada e i cinque milioni del Contratto d’area per il Sulcis dirottati su altre aziende di famiglia. Il gup Giorgio Altieri ha letto il dispositivo del giudizio abbreviato poco prima delle quattordici. Condannati con Molinas – difeso da Patrizio Rovelli e Diomedi – due dei sindaci che avrebbero dovuto controllare l’amministrazione dell’azienda: Giorgio Mario Ledda, difeso da Benedetto Ballero e Maurizio Scarparo, a sei mesi commutati in un’ammenda di 30mila euro, Carlo Deidda, difeso da Rita Dedola e Luigi Marcialis, a quattro anni commutati in 45mila euro.

Esce invece indenne dal processo Alberto Meconcelli, difeso da Rovelli: per lui c’è l’assoluzione da ogni accusa per non aver commesso il fatto. Colpisce perché rara la decisione di condannare per bancarotta semplice – non più bancarotta fraudolenta – due dei sindaci coinvolti nel procedimento: su di loro, che peraltro escono assolti da numerose imputazioni, ha pesato la valutazione dei curatori fallimentari, che nella loro relazione attribuiscono all’organo di controllo «una condotta omissiva e di insufficiente vigilanza» per non aver dimostrato «un impegno adeguato nell’esplicazione dei doveri del suo ufficio».

Quella mancata vigilanza, ha sostenuto il pm, ha agevolato le scelte illegali dei dirigenti Rober Carboni, Stefania Gambacorta e Andrea Binetti – che hanno tutti patteggiato le pene, tre anni di reclusione per Carboni, due anni e sei mesi Binetti e due anni e dieci mesi Gambacorta – fino a portare l’azienda al tracollo finanziario e al conseguente fallimento. Nel complesso il quadro accusatorio è uscito in parte ridimensionato dal giudizio ma ha retto: Pilia aveva chiesto quattro anni per Molinas, che è stato assolto da una parte delle accuse, tre per Ledda e due e mezzo per gli altri due.

Restano sotto giudizio le posizioni dell’ex commissario di Olbia Mariano Mariani, del consulente Luigi Crippa, del legale rappresentante della “Lmi srl” Pietro Crescimbeni, del dipendente Ila Leonardo Piras.

L’inchiesta giudiziaria sull’azienda di Portoscuso è nata dalla sentenza di fallimento, finita in Procura con forti sospetti di bancarotta,confermati dall’indagine della polizia tributaria, che ha consentito al pm Pilia di riscontrare quanto già i curatori Carlo Dore, Carlo Dessalvi e Giulia Casula avevano accertato con l’esame degli atti contabili e dei bilanci. Gli amministratori sono stati accusati di «gravi irregolarità» con una «rilevante alterazione delle rimanenze finali di magazzino, contabilizzate per un valore notevolmente superiore a quello reale, preordinato a occultare una perdita netta nell’anno 1997 non inferiore a sette miliardi e 561 milioni di lire». Un artificio che poi secondo l’accusa si è ripetuto nel corso degli anni, per truccare i conti dell’azienda e metterla in condizione di rinviare la richiesta di fallimento, già allora inevitabile.

Poi ancora operazioni di vendita inesistenti per otto milioni e 224mila euro, capitalizzazioni indebite fino alla distrazione degli ormai famosi cinque milioni del Contratto d’area per il Sulcis, incamerati grazie alla scarsa vigilanza della Provincia di Cagliari e spariti nel dedalo di società legate a Rober Carboni.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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