La Nuova Sardegna

Nel Sulcis c’è un lago e nessuno lo sapeva

di Chiaramaria Pinna
Nel Sulcis c’è un lago e nessuno lo sapeva

Per tutti era uno stagno, ma uno studio del professor Ginesu dell’Università di Sassari ne ha rivelato la vera identità

20 marzo 2013
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SASSARI. È nato 12 milioni di anni fa, milione più, milione meno, e in molti hanno aspirato da quel bacino come fosse un pozzo, e tutt’ora lo fanno. Dall’industria agli agricoltori, senza troppi complimenti, tutti hanno attinto da quello che senza grande fantasia centinaia di anni fa è stato battezzato Stagno ’e Forru forse perché è a pochi metri dal mare. Ma dello stagno non ha nessuna caratteristica, tantomeno il salmastro. Nessuno però si è reso conto che quello specchio di 400 metri di diametro e profondo due e mezzo, a meno di 500 metri dal litorale, in realtà è un lago naturale di acqua dolce alimentato dalle piogge.

Incastonato in uno dei paesaggi fino a trent’anni fa tra i più belli e oggi in parte violato dell’isola, a un passo da Portoscuso e Bruncuteula, ma anche dai fanghi rossi del Sulcis, sembra una maxi piscina circolare, «perfetto come una grande tazza di porcellana», dice con soddisfazione Sergio Ginesu, il docente di Geografia fisica e geomorfologia del dipartimento di Scienze della natura e del territorio dell’Università di Sassari che ha fatto la scoperta regalando così alla Sardegna il secondo lago. Una scoperta che ora costringerà a riscrivere la geografia dell’isola anche nei libri scolastici perché Baratz non è più solo.

L’occhio di Ginesu è caduto su quel cerchio d’acqua mentre era impegnato in un altro studio. «Seguivo l’evoluzione della linea di costa – spiega il docente – di un’area purtroppo trascurata, dove l’industria ha estratto 4 milioni di metri cubi di sabbia dai fondali per rigettarli sulla costa cancellando dune e stagni per realizzare i piani di ampliamento, cambiando così la morfologia costiera, quando sono stato attratto dalla forma di quello stagno: Ho pensato subito che fosse una formazione derivata dalla caduta di un meteorite o che si trattasse di un maar».

Il maar, spiega Ginesu, è una caldera originata da esplosioni scatenate dal contatto tra magma e acqua di falda. L'acqua della falda freatica riempie poi la caldera residua formando così il laghetto nel fondo della cavità. Un evento di una potenza incredibile che deriva dal collasso di parte dell'edificio vulcanico all'interno della camera magmatica una volta che questa si è svuotata del magma interno. Spesso, data la loro geomorfologia concava, le caldere sono la sede di laghi formati dall'accumulo dell'acqua piovana che rimane intrappolata all'interno. Qualche giorno dopo il primo approccio, come Indiana Jones, Ginesu ha cominciato ad avvicinarsi al laghetto per raccogliere i primi elementi e condividere l’esperienza con altri esperti volontari. «I fondi per la ricerca sono pochi, si sa – spiega il docente – quindi siamo andati avanti senza un euro. Ci sembrava impossibile che nessuno avesse considerato quello specchio d’acqua...», quindi, a maggior ragione, il progetto ha conquistato la geografa Donatella Carboni, gli esperti in geomorfologia Stefania Sias e navigazione Massimo Coppini, la biochimica Bruna Tandolini, i vulcanologi Francesco Secchi e Marco Marchi e la studiosa di biologia del lago Bruna Tadolini, mentre il supporto logistico è stato garantito da Giacomo Fonsa. Cinque anni di studi, e oggi l’ufficializzazione del lavoro: la pubblicazione sulla rivista internazionale Geografia fisica e dinamica quaternaria del lavoro firmato da Sergio Ginesu e intitolato: “A new lake in southwestern sardinia: a maar”?

«Ma porterò ancora avanti la ricerca – spiega il docente – perché il punto interrogativo scompaia». L’ipotesi più affascinante resta sicuramente quella del meteorite. E del resto parte della commissione scientifica che ha giudicato il lavoro prima della pubblicazione propendeva per questa.

Nuovi sondaggi e campionamenti delle polveri potrebbero presto confortare questa teoria che potrebbe essere suffragata da un dato certo: il fondo dell’ormai ex Stagno ’e Forru, misurato palmo a palmo, non ha nessun avvallamento che faccia pensare a un cratere. È piatto, come se una pesantissima lastra di metallo fosse caduta dal cielo, milioni di anni fa.

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