La Nuova Sardegna

Stop al fotovoltaico Restituire la terra a chi la lavora

di Giampaolo Meloni

Da Narbolia l’allarme contro l’accaparramento del suolo con l’alibi delle energie rinnovabili

03 marzo 2013
4 MINUTI DI LETTURA





INVIATO A NARBOLIA. La terra va restituita all’agricoltura, allo sviluppo, al futuro dei giovani, all’economia della Sardegna. L’accaparramento di migliaia di ettari con la maschera delle energie rinnovabili favorisce il consumo dei suoli di pregio e incrementa il grande business delle incentivazioni. Un affare da milioni di euro che dissanguerà l’isola nei prossimi vent’anni e la metterà poi nelle condizioni di fare i conti con un’altra devastazione ambientale, perchè gli impianti giganteschi del fotovoltaico realizzati nelle campagne, a fine progetto dovranno essere smaltiti.

Lo scenario affiora con ulteriore certezza dagli studi proposti a Narbolia dai migliori esperti che stanno radiografando con criteri scientifici il fenomeno.

Il convegno “Terra Madre” promosso dal comitato S’Arrieddu di Narbolia, il gruppo spontaneo di cittadini che da ormai due anni ha ingaggiato la mobilitazione per salvaguardare i terreni agricoli acquisiti dalla Enervitabio per realizzare il più grande impianto fotovoltaico della Sardegna approda a un grido comune: è una speculazione che va fermata. Obiettivo che mette sulla stessa piattaforma d’azione anche i Comitati di Cossoine, di Decimoputzu, di Santadi, di Vallermosa, di Villasor. Ma anche di Arborea, dove il progetto per le trivellazioni alla ricerca di gas naturale nei fondali marini del golfo oristanese non modifica le prospettive e le paure. Dice Luigi Deiana, del Comitato S’Arriedu: «Nonostante il silenzio che ancora accompagna queste vicende, nella coscienza civile si aprono spazi importanti». Aggiunge il presidente dell’associazione Terra Gramsci, Francesco Carta: «Il punto è che le scelte non vanno più delegate». Non ha dubbi Giuliano Murgia, per anni segretario generale della Cgil in Sardegna, poi tra i fondatori di Sardegna Ricerche, che ora si occupa di innovazione tecnologica energetica e agroalimentare: «La green economy ci può dare occasioni di buona occupazione, così anche le energie rinnovabili possono essere fonte di economia e occupazione, di impegno per la ricerca e lo sviluppo». Ma nel mosaico delle buone intenzioni c’è il tassello che stona: «C’è un eccesso di incentivazione , e i tanti denari attraggono faccendieri e finanzieri che ignorano le buone motivazioni. E i soldi che questi portano via sono pagati dai cittadini, con la bolletta dell’energia elettrica appesantita alla voce A3». Dove vanno a finire? «Nelle tasche di chi ha fatto le serre fotovoltaiche», è la risposta di Murgia.

Quel che alla fine resta è un paradosso di proporzioni enormi, dove il dato finale dice che la Sardegna produce 3250 megawatt di potenza e ne consuma 1400. Il resto va fuori dall’isola con il cavo Sacoi.

«Questa differenza – dice Murgia – potrebbe alimentare 500 aziende agricole di piccole dimensioni e favorire così lo sviluppo del settore con il rientro dei giovani in agricoltura».

Lo sperpero di ricchezze è ancora più spaventoso quando si calcola che 200 milioni di rendita derivata dal fotovoltaico (ossia gli incentivi per la produzione e vendita di energia prodotta nelle serre oltre quella necessaria per le coltivazioni agricole, qualora vi fossero realmente), vanno fuori dalla Sardegna, a incrementare i conti delle multinazionali che stanno realizzando gli impianti su terreni di pregio magari non utilizzati per mancanza di fondi dai piccoli proprietari.

I conti fatti da Antonio Onorati, presidente del Centro internazionale Crocevia, impegnato in progetti di solidarietà nel settore in tutto il mondo: «Non bastasse – spiega –, dalla Sardegna vanno via anche 200milioni di valore in prodotti ortofrutta e contemporaneamente se ne importano quantità impressionanti per il fabbisogno isolano». Tesori sprecati: «Un ettaro di terra fertile non è riproducibile», aggiunge. Aria pessima per il futuro. Al “land grabbing”, l’accaparramento dei terreni, si affianca la crisi oggettiva. Nel suo studio, Antonio Onorati ha verificato che negli ultimi dieci anni l’agricoltura sarda ha perso 97mila persone e che il 50 per cento circa delle aziende ha chiuso battenti. «La valanga di richieste autorizzative presentata alla Regione deve essere fermata , la terra restituita alle famiglie per essere lavorata e portata alla resa economica». Una strada verso questo traguardo è ottenere dall’Unione europea una direttiva che imponga l’uso agricolo della terra e fermi la speculazione, compresa quella forma che si chiama premio comunitario che ogni anno regala 800 milioni a 150 aziende agricole italiane.

Insomma sulle energie rinnovabili occorre una nuova politica culturale regionale e maggiore sensibilità delle amministrazioni locali, finora troppo silenziosamente accondiscendenti. Anche perchè le serre così concepite non aiutano affatto le colture agricole, che per ben riuscire richiedono costi più elevati di quelle sui terreni, come ha scientificamente dimostrato Luigi Ledda, docente al Dipartimento di Scienze agronomiche e genetica vegetale dell’università di Sassari.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

In Primo Piano

Video

Stefano Cherchi addio: a Sassari l'applauso della folla commossa per il fantino morto in Australia

Le nostre iniziative