La Nuova Sardegna

Il mondo dell’arte riscopre la decorazione

di Paolo Curreli
Il mondo dell’arte riscopre la decorazione

Un tema esplorato in un saggio della studiosa Giuliana Altea.Non solo estetica ma vera e propria costruzione culturale

24 gennaio 2013
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"Il meno è il più": il celebre motto di uno dei maestri dell'architettura moderna, Mies van der Rohe, che metteva al bando l'ornamento in nome della semplicità della forma, ha ancora senso per una società fondata sull'apparenza e sullo spettacolo? Oggi la scena dell'arte, dell'architettura e del design, dominata dal culto della superficie e dalla ricerca della seduzione visiva, sembra dire il contrario; a trionfare è l'aggiunta superflua, l'eccesso, l'iperbole. Ma nonostante ciò il decorativo continua a godere di cattiva fama: dire a un artista che la sua opera è decorativa equivale a un insulto. Perché tanto astio contro la decorazione? Ne parliamo con Giuliana Altea, storica dell'arte che ha esplorato questi temi in un denso e argomentato libro, Il fantasma del decorativo (II Saggiatore, pag. 308, 21 euro).

Perché un libro sul decorativo, un tema sicuramente non scontato alla luce dei canoni dell'arte contemporanea?

Sui motivi decorativi, la loro storia e origine, si è scritto molto, ma quasi per niente si è parlato del decorativo inteso come costruzione culturale. A me invece interessava proprio questo: vedere come e perché il decorativo è diventato l'arcinemico dell'arte moderna, quali contenuti abbiamo proiettato su di esso, facendone una specie di fantasma, un'accusa che i vari protagonisti dell'arte e della cultura si rimbalzano a vicenda, e che nasconde invariabilmente ansie e inquietudini sotterranee.

Lei descrive la decorazione come specchio della diversità, sempre associata a figure "altre", subalterne della cultura occidentale come la donna, il selvaggio, il contadino. Possiamo definirla un'estetica frivola per persone semplici?

In questi termini è stata considerata tradizionalmente, e quindi svalutata. Adolf Loos paragonava l'uomo tatuato, cioè decorato, al "primitivo", per Le Corbusier la decorazione era un "passatempo gradito al selvaggio". Ma ancor più che al selvaggio tatuato o al contadino vestito a festa, il decorativo è stato collegato alla donna. Femminilità e decorazione vengono identificati da Baudelaire: per lui la donna è inseparabile dall'abito, dalla toilette. Non basta: nell'800 la si descrive anche come decoratrice per eccellenza, naturalmente portata a ornare la casa; donna, abito e interno fanno tutt'uno. E l'arte rispecchia tutto questo, addirittura dando vita tra 800 e 900 a un tema pittorico che ho chiamato della "donna decorativa": donne passive entro interni eleganti, intente a non far nulla, circondate da arredi, oggetti e tessuti. Le troviamo nell'arte accademica come in quella d'avanguardia, nei pittori commerciali come in Matisse e Picasso…

Ma l'avanguardia non è stata sempre contraria al decorativo? Non l'ha respinto come qualcosa di superficiale, un orpello che nascondeva la purezza della forma?

Non sempre: c'è una storia del decorativo che serpeggia nel seno stesso del modernismo. Tra 800 e 900 la decorazione appariva come una via verso la pittura "pura", un antidoto al realismo: un arabesco non descrive, non racconta, è bello e basta. Per Gauguin l'arte era "decorazione profonda", Matisse e Klee mettono l'ornamento al centro della loro ricerca, e lo stesso Picasso a un certo punto lo recupera: in chiave parodistica, è vero, per denunciarne il legame con la cultura di massa, ma intanto ne sfrutta la seduzione. Poi c'è Fontana con i suoi arabeschi luminosi; e perfino Pollock, pittore macho e ribelle, se mai ce ne furono, in realtà si avvicina alla decorazione con i suoi grandi quadri che sembrano debordare dalla cornice, simili a una tappezzeria: lo capisce bene Cecil Beaton, che nel 1951 usa quelle tele come sfondo per delle foto di moda su Vogue.

Del resto lei sottolinea come l'intreccio fra arte e moda sia una spia della presenza del decorativo, nel 900 e anche oggi. Il suo libro però segnala il rischio del decorativo anche dove meno ce lo aspetteremmo, nelle manifestazioni più impegnate dell'arte contemporanea: come mai?

L'arte contemporanea condivide due aspetti chiave del decorativo, presi a volte separatamente, a volte insieme: l'importanza che dà al piacere visivo e la natura di aggiunta, di complemento. Per il primo aspetto, basta pensare alla spettacolarità sfrenata di artisti come Damien Hirst (chi non ricorda il suo teschio tempestato di diamanti?) e Jeff Koons. Il secondo aspetto caratterizza invece l'arte relazionale e "di partecipazione", fondata sul coinvolgimento del pubblico, che non produce oggetti ma fornisce servizi, progetti alle comunità, non di rado strizzando l'occhio al design: l'arte non è più autonoma, ma come la decorazione è legata a un fine esterno. E in fondo tutta l'arte è ormai diventata dipendente dalla sua cornice istituzionale, dal museo e dalla galleria. Insomma, si tratta di nuovo di arte applicata, solo che invece che agli usi della vita quotidiana è applicata al museo e al collezionismo, ed è un'arte sempre più terribilmente superflua - puramente decorativa - per la società che l'ha generata.

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