La Nuova Sardegna

La frutta secca è meglio di quella fresca per proteggere le arterie

di Roberto Morini
La frutta secca è meglio di quella fresca per proteggere le arterie

Singolare scoperta di due ricercatori dell’università di Sassari

23 dicembre 2012
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SASSARI. La frutta secca conserva giovani le nostre cellule molto più di quella fresca. Contro ogni antica sapienza consolidata, Antonio Piga e Gianfranco Pintus, due ricercatori dell'università di Sassari, hanno dimostrato che, almeno per quanto riguarda albicocche e prugne, il loro potere antiossidante, quello che combatte i terribili radicali liberi, aumenta notevolmente, fino a dieci volte, dopo l'essiccazione in forno a una temperatura media, tra i 50 e i 75 gradi. E hanno anche capito e spiegato il perché. Il tutto pubblicato sulla rivista internazionale PlosONE.

«È un ribaltamento di tutti i luoghi comuni sull'alimentazione – spiega Pintus, docente di biochimica al dipartimento di scienze biomediche – perché l'unica informazione alimentare che circola è che la frutta va mangiata fresca. Dopo la nostra scoperta dovremo invece studiare come alcuni processi di trasformazione alimentare, spesso messi sotto accusa dalla cultura alimentare comune, possono addirittura essere positivi per la salute».

«Della frutta secca – aggiunge Piga, docente di scienze e tecnologie alimentari ad agraria – si sa solo che ha un alto potere calorico, quindi fa ingrassare, per l'alta percentuale di zuccheri. E si sa che in piccole dosi mandorle, noci, pistacchi, nocciole, arachidi fanno bene perché contengono grassi come gli omega 3. Ma il suo alto potere antiossidante fino a ieri era sconosciuto».

In realtà l'elisir di lunga vita che si può comprare direttamente al supermercato sono solo le prugne secche. Di fichi secchi e altro ancora non si sa. Pintus e Piga non li hanno ancora testati. Ci hanno provato con i pomodori secchi, l’unico ortaggio che abbiamo testato, con risultati negativi. Quanto all’altra frutta secca è probabile che si comporti come le albicocche che si trovano in commercio: «Quelle che si comprano normalmente – spiega infatti Piga – quelle belle gialle traslucide, contengono anidride solforosa, che serve a mantenere quel colore chiaro e brillante anche dopo l’essiccazione. E l'anidride solforosa non solo può far male ad alcuni, come gli asmatici, ma serve proprio ad eliminare, insieme al colore scuro, quello che genera la colorazione: le melanoidine. E sono proprio loro, queste molecole complesse, la cui struttura chimica è poco nota, la sostanza antiossidante».

La differenza tra i processi di essiccazione è decisiva. L'essiccazione in forno, oltre i 50 gradi, fino a 75, 80 gradi di temperatura, produce le reazioni che generano le melanoidine. Quella al sole, come avviene normalmente con quasi tutta la frutta secca in commercio, proveniente in gran parte dalla Turchia, avviene a temperature più basse. E distrugge le molecole antiossidanti della frutta fresca, i polifenoli, senza dar vita a quelle generate dall'essiccazione in forno.

Per capire come funziona davvero la ricerca, in concreto, vale la pena raccontare la storia della collaborazione tra lo studioso di tecnologie alimentari Antonio Piga e il biochimico Gianfranco Pintus. Una sorta di autogestione, con fondi del ministero, della Regione e della Fondazione Banco di Sardegna, nell'era del fai-da-te a cui deve affidarsi la ricerca in Italia. «Molte scoperte avvengono per caso» inizia Piga. Subito sostenuto da Pintus: «È la cosiddetta serendipity». «Volevo vedere – prosegue Piga – come si degradavano i polifenoli presenti nelle prugne con la disidratazione. Già che stavo facendo quel test ho provato anche a verificare la capacità antiossidante della prugna secca. La prima volta ho scoperto che aumentava, mentre si dimezzava la presenza degli antiossidanti presenti nella prugna fresca. Diminuiva la vitamina C, diminuivano i polifenoli, ma il potere antiossidante aumentava addirittura di dieci volte. Credevo di avere sbagliato tutto. Che le mie misure fossero completamente sbagliate. Ma ogni vota che riprovavo ottenevo gli stessi risultati. Sono andato a vedere se c'erano studi che potevano aiutarmi a capire cosa succedeva. E ho scoperto che le melanoidine erano un buon candidato a spiegare il fenomeno. Si trattava solo di verificare la loro presenza nella prugna secca e poi di passare al test in vivo, sulla cellula umana. A quel punto ho coinvolto il gruppo di Pintus».

«Il potere antiossidante studiato solo attraverso una reazione chimica – spiega infatti Pintus – non garantisce il funzionamento sull'organismo umano. E fino ad ora il potere antiossidante delle melanoidine era stato studiato quasi solo in vitro. Noi abbiamo preso le cellule vascolari su cui già lavoravamo per altre ricerche e ci siamo chiesti cosa sarebbe successo mettendo in contatto con loro le melanoidine prodotte dall'essiccazione della frutta. Per prima cosa abbiamo verificato che albicocca e prugna secca non provocassero danni alla cellula. In vitro non si può verificare, per esempio, se una sostanza è tossica. Magari combatte i radicali liberi ma uccide la cellula. La nostra frutta secca fortunatamente non lo è nociva. Poi – prosegue Pintus – abbiamo indotto uno stress ossidativo con l'acqua ossigenata. Sappiamo che lo stress ossidativo è il responsabile di malattie cardiovascolari e più in generale dell'invecchiamento delle cellule. Abbiamo visto che venivano bloccati tutti gli effetti ossidativi indotti dallo stress. La nostra ricerca dimostra che albicocche e prugne secche, se ottenute con l'essiccazione a temperature superiori a 50 gradi, hanno un effetto benefico nella prevenzione e nella cura delle malattie cardiovascolari». E una volta tanto ciò che fa bene è anche piacevole. E non per caso: «Le melanoidine che si formano durante un processo termico – spiega Piga – danno al cibo anche un caratteristico aspetto attraente: come il colore bruno del pane e della pizza o della carne alla griglia. Mentre il loro odore e sapore sono prodotti da altre sostanze volatili generate proprio durante lo stesso processo termico: la cottura in forno».

E ora? Sarebbe il massimo del ritorno alle origini, anche religiose, se la prossima tappa di questa ricerca facesse scoprire che proprio il pane caldo appena uscito dal forno è il principale salvatore delle nostre arterie.

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