La Nuova Sardegna

Saccargia, l’abbazia nata dalla visione di un Giudice

di Marco Milanese
Saccargia, l’abbazia nata dalla visione di un Giudice

I camaldolesi che la fondarono novecento anni fa furono influenti per secoli - FOTO

14 dicembre 2012
5 MINUTI DI LETTURA





Grazie anche ai robusti restauri realizzati alla fine dell'Ottocento da Dionigi Scano, tutto sommato Saccargia non se li porta male i suoi accertati 900 anni di vita, quasi un'icona del Medioevo sardo, svettante con il suo agile campanile e con la sua sobria bicromia immersa nei colori decisi e talvolta ipnotizzanti del paesaggio.

Novecento anni che hanno convinto un gruppo di illustri studiosi del Medioevo sardo a dedicarle quale omaggio per l'importante compleanno, un incontro di studio, che si terrà domani.

La data di nascita dell' abbazia di Saccargia non è conosciuta con esattezza, ma la prima volta che essa compare nei documenti scritti doveva essere stata costruita da una manciata di anni.

Il 16 dicembre 1112 (esattamente novecento anni fa), Azo, arcivescovo di Torres, confermava la donazione di una chiesa (ecclesia), dedicata alla SS. Trinità, all'Ordine monastico benedettino dell'Eramo di San Salvatore di Camaldoli.

La chiesa e il monastero camaldolese intitolati alla SS.Trinità in loco qui Sacaria dicitur, erano situati sulla strada che portava da Torres, antica sede del Giudicato turritano, in direzione di Ardara, dove in quegli anni i Giudici avevano già spostato la loro residenza e costruito un possente palazzo fortificato, oggetto di una campagna di scavo conclusa in questi giorni.

Sulla fondazione dell'abbazia di Saccargia aleggia la leggenda della visione che il Giudice Costantino ebbe, durante un pellegrinaggio assieme alla moglie Marcusa verso il Santuario dei Santi Martiri Gavino Proto e Gianuario per chiedere la grazia di un figlio sano e che portò alla conseguente decisione di realizzare una chiesa con il monastero. Questi sono anni in cui nei paesaggi della Sardegna vi fu una frenetica attività di costruzione di chiese e di monasteri, che l'aristocrazia laica sarda, per una politica di relazioni tra poteri laici e poteri religiosi, per incentivare l'insediamento dei monaci e nella speranza di benefici ultraterreni (pro anima sua), donava in gran numero agli Ordini monastici del Continente, ma anche alla Cattedrale pisana di Santa Maria ed a quella genovese di San Lorenzo.

I forti legami del Giudicato di Torres con Pisa chiariscono il perché della comparsa in Sardegna degli Ordini monastici toscani, i Camaldolesi a Saccargia, a San Nicola di Trullas (Semestene), a San Pietro di Scano Montiferru, a San Saturnino di Bultei, ma anche con cellule monastiche "minori", quale Orria Pithinna (Chiaramonti), al centro di recenti indagini archeologiche ed i Vallombrosani nella vicinissima (a Saccargia) abbazia di San Michele di Salvennor (Ploaghe) e a San Michele di Plaiano, nei pressi dello stagno di Platamona. Per almeno tre secoli Saccargia ed il suo abate furono potenti ed influenti nei complessi equilibri politici dello scenario sardo e ancora nel 1355, in occasione del Parlamento sardo convocato dal re aragonese Pietro IV, l'abate di Saccargia partecipò ai lavori in rappresentanza dell'Ordine, mentre alla fine del Trecento iniziò la decadenza che portò rapidamente all'abbandono ed alla rov. ina del monastero.

Di questa rovina è testimone attorno al 1580 lo storico Giovanni Francesco Fara, che descrisse l'abbazia come abbandonata e secoli più tardi anche secondo l'archeologo Giovanni Spano (1857) il monastero era quasi completamente crollato.

Quando i costruttori di origine toscana (pistoiesi ?), probabilmente chiamati dal Giudice Costantino intervennero a Saccargia, ingaggiati con “grande moneda”, se dovessimo prestare fede al Condaghe di Saccargia (il documento è però seicentesco), essi si trovarono in presenza di una piccola chiesa altomedievale, che inserirono nel progetto della nuova abbazia, assegnandole la funzione di piccola abside (il nuovo edificio ne ha tre, una maggiore centrale e due minori laterali).

Saccargia è dunque testimonianza del periodo in cui i Giudicati furono in grado di esprimere la loro massima potenza ed un prestigio che si manifesta a vari livelli, come negli affreschi, ma anche nella materia del costruito, le chiese e i meno conosciuti palazzi, qualche castello, che conosciamo tuttavia nelle più tarde trasformazioni post-giudicali.

Saccargia è anche paesaggio, un paesaggio di contesto, la sua verde vallata che alimenta la suggestione dell'azienda monastica e che ci obbliga a riflettere su questa fondazione religiosa, (strategicamente collocata su una strada importante nel Medioevo come ancora oggi) per prima cosa in quanto centro di sfruttamento economico del territorio, di gestione della capacità produttiva delle sue aziende, del suo patrimonio di seminativi, di vigne, di pascoli, di migliaia di capi di bestiame e di servi, che rappresentarono una parte fondamentale del patrimonio del monastero. Un paesaggio oggi in parte ferito (ma che dire allora delle violenze inferte pochi anni fa sul paesaggio dell'abbazia di Santa Maria di Paulis e su quello di Salvennor?), già popolato in età nuragica e romana, dove l'innesto della comunità camaldolese avvenne in un luogo da tempo abitato, come nei casi di Tergu, di Silki e di Salvennor, dove i dati archeologici sostengono la visione di aree insediate con continuità nel lungo periodo.

Il quadro è fortemente indiziario o talvolta dispone di vere e proprie prove offerte dall'archeologia, per ritenere che Saccargia come altri monasteri del Giudicato di Torres siano sorti in un territorio già lungamente sfruttato e dalle allettanti potenzialità economiche ben conosciute ai donatori ed all'Ordine monastico ricevente. Le iniziative monastiche dunque non sarebbero avvenute nell'incolto, ma in situazioni che dovevano già garantire consistenti rendite finanziarie e comunque in siti dal potenziale produttivo interessante, grazie all'opera dei servi, che assieme ai liberi costituivano la popolazione delle campagne circostanti, dove la signoria monastica anche attraverso i suoi abati imponeva in modo talora drammatico la propria mano forte, attraverso il controllo sui matrimoni dei servi, in particolare di quelli misti fra servi e liberi, che potevano portare ad una rapida erosione del patrimonio servile dell'abbazia.

Tutelare Saccargia oggi non può limitarsi soltanto ad una buona manutenzione del monumento, né ad un modesto areale circostante, compresi i ruderi del monastero oggetto di campagne di scavo anni addietro. Conoscere meglio per tutelare in modo più efficace. Nell'agenda di Saccargia oggi va posto in evidenza lo studio - con i metodi della ricerca archeologica - dei paesaggi della produzione e della complessità sociale che nel periodo giudicale caratterizzarono il territorio di questa abbazia.

Marco Milanese è professore ordinario di Archeologia, dipartimento di Storia, scienze dell'uomo e della formazione, università di Sassari

Incarichi vacanti

Sanità nel baratro: nell’isola mancano 544 medici di famiglia

di Claudio Zoccheddu
Le nostre iniziative