La Nuova Sardegna

Una coscienza nuova per fermare la strage

Una coscienza nuova per fermare la strage

L’ondata di femminicidi ha origine in una cultura diffusa, contro la quale si deve reagire, uscendo dall’indifferenza

25 novembre 2012
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In seguito alla risoluzione dell’Onu del 1999, la data del 25 novembre è celebrata come "Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne". La data è stata scelta per ricordare quel 25 novembre del 1960 che vide il brutale assassinio politico trujillista delle sorelle Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal. Rivoluzionarie impegnate nel movimento di resistenza alla dittatura del tiranno domenicano, con la loro morte, a seguito delle terribili torture, commossero l'opinione pubblica e mossero le coscienze, rinforzando il movimento che riuscì l'anno successivo ad eliminare Trujillo.

Anche quest'anno sono state organizzate numerose manifestazioni, non soltanto per non dimenticare le tante vittime (dagli inizi del 2012 in Italia la carneficina conta già un numero superiore al cento, ma la "strage silenziosa" in tutto il mondo è spaventosa e persino difficile da calcolare), ma anche, e soprattutto, per tenere desta la sensibilità verso il problema. La violenza contro le donne ha origini soprattutto nella mentalità culturale, più che in circostanze particolari individuali. Certo anche in queste, ma sarebbe di molto inferiore, se certe situazioni non trovassero un terreno favorevole in cui allignare. Soltanto pochi giorni fa si è letta la notizia di due donne, madre e figlia, scomparse da anni nel silenzio e nell'indifferenza e ritrovate uccise, sepolte nell'intercapedine di uno scantinato. Una notizia come tante che passano nei notiziari e che subito scandalizzano, fanno gridare per un po' all'orrore, quindi si dimenticano come tutte le altre. Ecco, è l'indifferenza generale che insieme agli assassini uccide le donne.

Ogni storia di violenza, al contrario, dovrebbe provocare la mobilitazione e l'indignazione collettiva; dovrebbe costringere tutti alla massima attenzione verso l'altro. Non basta una manifestazione ogni tanto. Non è sufficiente parlarne e ricordare oggi cosa accade. Diventa un fatto celebrativo quasi inutile, se non è accompagnato da atteggiamenti e politiche costanti di rifiuto di ogni minima forma di violenza e mancanza di rispetto della libertà e integrità del corpo e del pensiero femminile.

Proprio nei giorni scorsi si è acceso un dibattito sullo studio di un testo di legge che prevedrebbe un inasprimento delle pene in caso di femminicidio (con questo termine si intende comprendere non solo l'omicidio, ma anche ogni forma di violenza di genere, cioè nei confronti della donna in quanto donna). Nella discussione ci può essere materia per evidenti discordanze (la legge è uguale per tutti) o per i più diversi e sottili distinguo sia sostanziali sia formali, ma resta il fatto che la violenza nei confronti delle donne ha radici differenti rispetto agli altri delitti, radici razziste esattamente come quelle che hanno determinato tutte le forme di discriminazione, segregazione, persecuzione su basi razziali (si ricordino le leggi di Jim Crow nei confronti dei negri in America, la "soluzione finale" nazista per gli ebrei, gli zingari, gli omosessuali, i genocidi dei pellerossa, degli indios, etc.). Se non si riconosce che in gran parte del mondo, compreso il nostro occidentale, la sopraffazione e il predominio sono sempre basati su una concezione, più o meno dichiarata, dell'inferiorità dell'altro, non si potrà mai superare il problema. Anche nei confronti delle violenze contro le donne, che continuano nonostante le storiche lotte femministe e i mutamenti sociali, la mentalità culturale è quella del controllo per il dominio. Il senso di proprietà del corpo femminile da parte del maschio, infatti, ancora oggi, sovraintende a molte delle relazioni tra l'uomo e la donna e ne condiziona i rapporti.

Ma, per tornare alla ricorrenza odierna, pur auspicando interventi strutturali che costruiscano una nuova cultura basata sul rispetto della libertà di scelta della donna del proprio percorso di vita, tutte le iniziative e le proposte che ci aiutano a riflettere sul tema sono comunque da considerare azioni positive. Ne segnalo solo una perché mi sembra particolarmente simbolica, tra le tante, tutte interessanti e significative. Mi riferisco al progetto di arte pubblica ideato dall’artista messicana Elina Chauvet e attuato sia nel Palazzo Ducale di Genova sia a Milano presso le Colonne di San Lorenzo. "Zapatos Rojos" (scarpe rosse) ha per titolo questa installazione collettiva che consiste nell'esposizione di centinaia di scarpe rosse (simbolo del vuoto lasciato e del sangue versato dalle donne) portate da comuni cittadini che le mettono a disposizione per la mostra in segno di partecipazione e solidarietà. Originali o comuni, simboliche o esplicite, ben vengano tutte le proposte di riflessione. Tutto, tranne l'indifferenza. Per dirla con Werner Herzog «Non sentite dunque questo urlo terribile, che chiamano silenzio?»

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