La Nuova Sardegna

La sfida: introdurre il punto di vista femminile nella politica

di Giulia Clarkson
La sfida: introdurre il punto di vista femminile nella politica

All'origine è la constatazione di uno iato. La consapevolezza della perdita di senso e significato esacerbata da questi anni di crisi. Crisi della politica, dell'economia, del lavoro, della...

15 ottobre 2012
5 MINUTI DI LETTURA





All'origine è la constatazione di uno iato. La consapevolezza della perdita di senso e significato esacerbata da questi anni di crisi. Crisi della politica, dell'economia, del lavoro, della democrazia. Che mostra e dimostra la radicalità della questione. O si fa la rivoluzione, ovvero si opera per lo stravolgimento del sistema dai fondamenti, o si rimane impantanati nell'ordine stereotipato delle cose. Che è quello maschile, dicono le femministe che si sono date appuntamento a Paestum (luogo emblematico, in cui 36 anni fa si svolse l'ultimo convegno femminista) il 5, il 6 e il 7 ottobre per discutere, in una plenaria aperta e quanto mai partecipata, «se la politica femminile che fa leva sull'esperienza, la parola e le idee, può in un momento di crisi, smarrimento e confusione, restituire alla politica corrente un orientamento sensato».

Ma è lecito sostenere che nel secondo decennio del Duemila il patriarcato sia ancora la cifra imperante? Di certo l'elaborazione di decenni di teoria e pratica femminista sviluppata dal germe concettuale del "partire da sé" ha impresso il segno nel maschilismo tradizionale, rimettendo in gioco ruoli fino ad allora considerati naturali ed inamovibili. La politica di liberazione delle donne ha svelato l'"antropologia delle relazioni", per dirla con Giorgia Bordoni, ovvero quel rapporto che attribuisce al maschio "la forza di legge" e alla femmina la subordinazione e l'obbedienza, garantendo al primo il controllo sull'economia del privato e del pubblico. Oggi, spinte da una forte volontà di autodeterminazione, le donne sono presenti e partecipi nella costruzione degli spazi pubblici e sociali. Tuttavia, l'emancipazione femminile non può dirsi del tutto realizzata né il patriarcato delegittimato. Infatti permaniamo all'interno di una cornice di organizzazione del potere che, come scriveva Carl Schmitt, altro non fa che attingere da "concetti teologici secolarizzati" ovvero da un sistema normativo gerarchico e punitivo in cui il sovrano è emanazione, nelle civiltà monoteiste, di un dio padre.

Come spiega ancora Bordoni, in uno dei contributi che hanno anticipato l'incontro (sul sito paestum2012.wordpress.com, «ciò che va dunque denunciato in via preliminare è che il potere non è neutro, ma che il neutro serve al potere per celare la sua connotazione virile che continua ad informare la cifra dell'autorità: il neutro diventa perciò la figura molteplice in cui si mostrano i nuovi patriarcalismi. Le estrinsecazioni giuridico-politiche (della struttura maschile del potere) ma soprattutto sociali, linguistiche e pedagogiche hanno a tal punto ignorato, nel loro formarsi, la differenza radicale nel genere femminile e nella sua declinazione del potere, da produrre un'universalizzazione del modello maschile che nasconde la radice virile dell'autorità dietro le spoglie del "neutro". Il neutro è precisamente lo spettro dissimulante e coprente dietro cui agiscono le logiche patriarcali e da cui l'antica antropologia delle relazioni continua ad essere alimentata».

Seguendo il ragionamento, è all'interno di questo patriarcalismo di ritorno che viene collocata «una delle più feroci illusioni prodotte in Italia dal politically correct – idea guida ormai necessaria alla costruzione del consenso politico in chiave emotiva», ovvero che la scarsa rappresentanza femminile nella stanze dei bottoni possa essere risolta con l'introduzione delle quote rosa. Non si tratta infatti di ammettere più donne all'interno di un sistema già esistente e che ha dimostrato il suo insuccesso, ma di pensare un nuovo modo di fare e di essere della politica.

L'incontro di Paestum, che ha chiamato a raccolta anche donne delle istituzioni e dei partiti, è servito a mettere sul campo fondamentalmente questo tema: esiste una competenza femminile capace di elaborare autonomamente il potere al di là del modello esistente e di cui è espressione anche la pratica del politically correct (da cui l'irrinunciabilità bipartisan delle quote rosa e tanto altro)?

Come indica il titolo "Primum vivere anche nella crisi. La rivoluzione necessaria – la sfida femminista nel cuore della politica», l'obiettivo è ben più ambizioso e radicale del voler assicurare un bilanciato numero di donne nelle posizioni apicali. Si riparte invece dall'idea degli anni Settanta che la politica dovesse essere rielaborata a partire dal sé, ovvero dai corpi nella polis, attribuendo significato politico a ciò che invece era considerato "non politico" e dunque segregato, sacralizzato, svuotato di significato pubblico. Oggi quei confini sono stati scavalcati. E la proposta femminista, nata da quarant'anni di elaborazione di saperi e pratiche, vuole provare a «mettere al centro la vicenda dell'umano nella sua interezza» come dice Lea Melandri, femminista storica e tra le promotrici di Paestum 2012. Anche perché nel frattempo le logiche del mercato, della produzione, del profitto, dello sfruttamento hanno mostrato la loro insostenibilità. Primum vivere significa allora «non solo "vita", ma "buona vita", buon lavoro, creatività, possibilità di dare espressione a tutte le manifestazioni di vita dell'umano, di uomini e di donne. Quindi in sostanza è una critica radicale al modello di civiltà. La cura non può essere lasciata alla vita intima, al rapporto di coppia, alla famiglia, deve essere assunta come un problema e una responsabilità collettiva, non basta più la politica dello stato sociale».

La proposta è dunque un capovolgimento copernicano: porre al centro della visione politica ciò che le donne hanno fatto da sempre, ovvero il modello della cura. Il prendersi cura dell'altro diventa il perno concreto di un ripensamento della politica e delle sue pratiche che va a comporsi a partire dai soggetti che con le loro esperienze, bisogni e desideri abitano lo spazio della comunità. E si estende a tutti i settori, economia e lavoro in primis.Questa la sfida aperta, il resto è tutto da discutere.

In Primo Piano
L’intervista

Giuseppe Mascia: «Cultura e dialogo con la città, riscriviamo il ruolo di Sassari»

di Giovanni Bua
Le nostre iniziative