La Nuova Sardegna

«Ignorati i miei appelli alla prudenza»

di Pier Giorgio Pinna
«Ignorati i miei appelli alla prudenza»

Parla lo specialista intervenuto sul blog collegato all’associazione Aion per mettere in guardia contro le “guarigioni ”

21 agosto 2012
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SASSARI. «Ho provato a far ragionare i familiari dei pazienti che sul web parlavano di terapie miracolose richiamando le tesi del dottor Giuseppe Dore. Ma, anziché accogliere i miei inviti alla prudenza, su internet parecchie persone rimaste volutamente anonime si sono limitati a insultarmi». A distanza di mesi, Paolo Putzu è amareggiato per non essere riuscito a portare un po’ di serenità. Almeno nel blog collegato all’Aion onlus, la stessa associazione ora finita sotto inchiesta insieme con il neurologo di Ittiri che secondo molti suoi sostenitori faceva guarire i malati di Alzheimer e ora deve invece rispondere in carcere di una valanga di pesantissime imputazioni.Paolo Putzu non è uno specialista qualsiasi. Per 18 anni è stato il primario della divisione geriatria e del centro Alzheimer dell’Asl 8 di Cagliari. Oggi è il presidente sardo dell’Associazione italiana di psicogeriatria. Coordina le Unità valutative che si occupano di questa terribile patologia per il progetto Univa e per conto della Commissione Demenze dell’assessorato alla Sanità (i cui membri tecnici hanno comunque dato le dimissioni dopo aver accusato d’inerzia la giunta regionale). A sessantadue anni, dopo decenni passati tra gli ammalati e i loro parenti, tanti studi e un costante aggiornamento nelle metodiche di cura, ha così accumulato grande esperienza nella lotta contro l’Alzheimer.

Dottor Putzu, che cosa l’ha convinta già due anni fa a tentare di porre un argine contro il dilagare di queste teorie mirabolanti?

«Soprattutto una questione di fondo: l’idea che su internet qualcuno potesse presentare come certa la possibilità di una guarigione dall’Alzheimer. Mentre, allo stato attuale delle conoscenze internazionali, questa malattia può essere contrastata sino a migliorare notevolmente le condizioni dei pazienti, ma purtroppo non è guaribile».

Che cosa ha fatto, allora?

«Una volta appreso dell’esistenza di un blog collegato al sito dell’Aion onlus, dapprima ho letto dichiarazioni, testimonianze e commenti. Poi, dato che si parlava di “un inizio della fine dell’Alzheimer”, ho deciso di dare il mio contributo».

E quindi?

«L’8 giugno 2010 ho scritto sul blog un garbato intervento, con nome e cognome. Tutto per dire, nella sostanza, che le modalità divulgative della tesi proposta non erano scientificamente corrette. Ho poi spiegato che nella mia vita professionale mi era capitato altre volte di venire a conoscenza di terapie date per miracolose che in seguito si erano dimostrate non valide».

È servito a qualcosa?

«No. Ne ho ricavato soltanto contumelie. Per di più espresse da persone che non si facevano identificare».

Come ha deciso di comportarsi, a quel punto?

«Visto che in quel periodo non conoscevo ancora molte cose della psiconeuroanalisi, mi sono documentato a fondo. Ma non è stato possibile andare molto in là proprio perché la maniera di diffondere queste teorie non corrisponde a criteri di scientificità. Fra l’altro, in quella fase, ho espresso una cortese protesta nei confronti di qualche collega che mi è parso troppo cauto nel prendere le distanze».

Poi che cosa è successo?

«Sono intervenuto, per la seconda e ultima volta. Per contestare nuovamente la tendenza a far nascere illusioni alimentando false aspettative. E per ricordare come il principale interesse di tutti dev’essere la salvaguardia dei pazienti e dei loro familiari. Anche in questo caso, tuttavia, sono stato ricoperto d’improperi e critiche non motivate, sempre da parte di anonimi. Così ho smesso di frequentare il blog».

Da allora ha sentito parlare di maltrattamenti?

«Mai: nessuno, credo, era a conoscenza dei fatti adesso al vaglio della magistratura. Le mie contestazioni in Rete, del resto, erano di tipo scientifico. E solo per questo sono stato ascoltato come teste dai carabinieri».

Come ha accolto l’avvio delle indagini?

«Con grande dispiacere. Questa storia mi ha fatto comprendere che, per arrivare a una deriva del genere, si sono probabilmente creati vuoti, carenze nei servizi pubblici. E forse, di fronte alla mancanza di risposte e all’assenza di un’attività ufficiale ed efficace di divulgazione su come affrontare questa patologia, alcuni familiari hanno deciso di rivolgersi altrove».

Che cosa si sente di dire ai parenti degli ammalati?

«Consiglio di rivolgersi alle strutture istituzionali assumendo tutte le informazioni corrette sulla patologia. Bisogna sempre affidarsi a professionisti seri. I familiari sono le seconde vittime dell’Alzheimer: di fronte al comportamento dei propri cari malati, se non si è informati, c’è il rischio di ansie, depressioni, veri crolli psicologici».

Ma quali sono le prospettive reali? Si può continuare a sperare?

«Con ogni probabilità la risposta finale contro l’Alzheimer si troverà nella genetica e in una terapia di tipo immunizzante. Ma nel frattempo si può fare molto, sul piano farmacologico e psicologico, per lottare contro questa malattia. In qualche caso ci possono essere miglioramenti apprezzabili nelle condizioni di vita generali. Tanto per il paziente quanto per i familiari. A patto però che siano tutti supportati dai medici in uno stesso gruppo di lavoro».

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