La Nuova Sardegna

Rossella Urru: «Sto bene, in Africa ci ritornerò». L’arrivo a Ciampino dopo 9 mesi di prigionia

di Umberto Aime
Rossella Urru: «Sto bene, in Africa ci ritornerò». L’arrivo a Ciampino dopo 9 mesi di prigionia

Alle 21.12 l’arrivo a Ciampino della cooperante liberata: «Grazie a tutti». L’abbraccio dei familiari e il saluto di Monti. Stasera il rientro a Samugheo

20 luglio 2012
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INVIATO A ROMA. Eccola, Rossella. È ritornata a casa, in Italia, libera e felice: «Certo, in questi nove mesi, qualche volta mi è capitato di aver paura, ma solo qualche volta. Mi hanno trattata bene, sono in forze e adesso ho bisogno soprattutto di stare con la mia famiglia», le sue prime parole. È questo è l’inizio del breve discorso che farà alla Nazione, alla Sardegna, alla sua Samugheo, a chiunque l’abbia aspettata per 270 giorni, e che «oggi voglio ringraziare con un unico, grande abbraccio».

Sono le 21.12, all’aeroporto militare di Ciampino, il Falcon I-Nemo dello Stato rulla lento sulla pista. È appena atterrato, dopo sei ore di volo senza scalo dall’Africa all’Europa, solo venti minuti di ritardo sulla tabella annunciata da Palazzo Chigi. L’emozione è forte quando la scaletta si apre, come se fosse il ponte di un castello fatato ed è nello stesso momento, con una coreografia perfetta, che sul piazzale compaiono i genitori di Rossella. Sono Graziano e Marisa, mano nella mano, come lo sono stati per gran parte della giornata, quella dell’attesa, vissuta dalla mattina presto nel salone presidenziale dell’aeroporto. Dietro di loro i figli Fausto e Mauro, hanno un sorriso grande, camminano svelti, vogliono abbracciare subito la sorella. A tenerli a bada è il metro e ottanta del presidente del Consiglio, alle loro spalle. Mario Monti è subito dietro il quadro di famiglia in movimento, pare essere un corazziere e questa volta è proprio lui a scortare altri verso la felicità. I secondi di attesa sono scanditi come un conto alla rovescia, dieci, nove, otto e al cinque Rossella appare già dal buio della cabina. È vestita con lo stesso camicione bianco e i pantaloni blu delle prime foto scattate a Gao e poi nella capitale della Burkina Faso e rilanciate subito dalla Rete in tripudio di post-it e “cinguettii”. Rossella è la stessa di 270 giorni fa. Non sembra dimagrita, o forse se lo è, è la tunica ad allontanare ogni dubbio. È sorridente, l’abbraccio con i genitori è forte e lungo, con i fratelli anche. La stretta di mano fra lei e il Presidente è decisa, e c’è anche uno scambio di baci sulla guancia fra i due. I flash sono continui, i fari delle telecamere sparano sulla pista una luce biancastra, che rende ancora più coinvolgente l’attimo della breve passerella dall’aereo fino al palco zeppo di giornalisti.

È in quel cono di luce che Rossella si ripresenta al mondo a quella gente, tanta gente, che è scesa in piazza, ha cantato, pregato, esposto alle finestre striscioni e lenzuola per invocare la liberazione della ragazza di Samugheo. Lei non si nasconde: è spigliata, con la sinistra saluta di nascosto qualcuno sul palco, con l’altra mano sposta un ciuffo ribelle della frangetta. Anche la pettinatura è la stessa, i capelli sono più lunghi ma sempre sulle spalle. Il fermo immagine dice che la prigionia non ha cambiato Rossella. La gigantografia del suo viso, che riempie l’intera facciata del Consiglio regionale, a Cagliari, combacia col ritratto di adesso, con la prima foto ufficiale. Combaciano nel sorriso, nello sguardo amorevole dedicato al bambino saharawi che ha in braccio e ora in quello verso la madre, che è al suo fianco e continua ad accarezzarle una spalla. Poi Rossella diventa serie e diligente, nell’ascoltare il Professore, che la saluta, con «grande, immensa, gioia, perché per lei l’Italia e soprattutto la Sardegna ha palpitato sin dal primo giorno ed è stata questa instancabile partecipazione della gente a essere stato il primo sostegno per la sua famiglia. Una famiglia coraggiosa come lei». Monti è apparso anche meno serio del solito, quando ha detto che «la cooperazione è una missione difficile, ma anche irrinunciabile e di cui noi italianio dobbiamo andar fieri». E sulla fierezza, non sulla paura e neanche sulla sofferenza, Rossella ha costruito subito, di slancio il suo grazie senza frontiere. È stato un grazie a tutti, a chiunque, vicino o lontano, ha fatto qualcosa, qualunque cosa, per riportarla a casa.

«Finalmente è finita», dice al microfono con voce ferma, anche se una delle mani batte sul petto, sulla collanina con ilciondolo: è quel gesto, si vede, a darle i tempi del discorso. Che non è lungo, ma completo: sto bene, mi hanno trattato bene, sono in forze, adesso ho bisogno di riposare». Poi la risposta spontanea a una domanda inevitabile: ha avuto paura? «Sì, è capitato ma solo qualche volta». È ancora presto perché possa raccontare ogni ora della disavventura vissuta nel Sahara spagnolo o chissà dove. Disavventura? «Non escludo un domani di ritornare in Algeria, per aiutare chi soffre nei campi profughi». Rossella è forte, coraggiosa ed è ritornata in Italia. Oggi, in serata, ritornerà anche a Samugheo.

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