La Nuova Sardegna

Carbosulcis, i perché di una lenta agonia

di Umberto Aime
Carbosulcis, i perché di una lenta agonia

Non arriva il sì dell’Unione europea al “progetto integrato”, le perdite crescono e nessuno sa bene che cosa fare

18 giugno 2012
5 MINUTI DI LETTURA





INVIATO A CARBONIA. Chissà se così come sta adesso, indebitata e sotto i riflettori delle polemiche, la Carbosulcis ha un futuro, oppure prima o poi finirà interrata. Se lo chiedono in molti, nel raccontare che al di là della guardiola di Nuraxi Figus, oltre la sbarra ci sono gli uffici, lo stabilimento e soprattutto le gallerie, è in atto una lunga guerra di potere, mentre, a marzo, si sarebbero consumate diverse clientele sui premi di produzione e invece, l'anno scorso, è andato in scena un balletto di fatture sospette su cui da allora indaga la guardia di finanza. Così troppi soldi pubblici, in questo passato recente, sarebbero finti nel pozzo senza fine di Nuraxi, dove in pochi penserebbero a fare quello per cui sono pagati dalla Regione, l’unico azionista: estrarre e vendere carbone. Sì, proprio quel combustibile pronto all'uso, che qui, a Monte Sinni, ha un potenziale intorno al milione e mezzo di tonnellate ogni anno e che per gli esperti di energia è destinato a salvare il mondo dalla dipendenza dal petrolio, eppure questo tesoro nel Sulcis nessuno se lo fila o quasi. L'uragano Lorefice, l'amministratore baby nominato da Cappellacci e costretto subito alle dimissioni, ha sollevato il coperchio su uno scatolone che la Regione controlla e amministra da sedici anni.

Più male che bene, dicono, dopo aver letto il bilancio in rosso. Le perdite sono sempre più vicino ai 16 milioni, con due terzi del finanziamento regionale, 30 milioni, destinato alle buste paga, i dipendenti sono oltre cinquecento, e solo il resto all'estrazione e alla ricerca. L’oggi è tutt’altro che buono. Se dall'Unione europea non arriverà in fretta l'atteso via libera al progetto integrato per rilanciare la produzione di energia, se molto presto non saranno messi a frutto i brevetti internazionali, autoprodotti, per alleggerire il carbone del Sulcis dallo zolfo, se entro l'anno non sarà messa all'asta e privatizzata, la Carbosulcis finirà per rimanere quello che è: un carrozzone.

Certo, stringe il cuore scriverlo, quando in bilico, a Nuraxi Figus, c'è dentro tutto il domani di cinquecento famiglie, in una terra, fra Carbonia e Iglesias, dove domina il precariato, dove non c'è casa in cui non vivano almeno un disoccupato o due operai in cassa integrazione. Ma così come sta adesso, la Carbosulcis pare davvero condannata. Ha un solo cliente, l'Enel, oggi ancora più furbetto e riottoso. Alle prese col rinnovo del contratto per il conferimento in discarica, alla stessa società regionale, delle ceneri che le rimangono sulla gobba quando alimenta le centrali di Portovesme, l'Enel spesso neanche ritira il prodotto estratto per suo conto. Materia prima che, tra l'altro, paga 45 euro a tonnellata, mentre per far stoccare lo scarto, le ceneri, sborsa 80 euro ed è su questo doppio listino che adesso pretende lo sconto, con la strategia del ricatto. Perché senza le commesse dell'Enel, la Carbosulcis potrebbe finir male molto prima del previsto. Come se non bastasse, con le ristrettezze economiche che ha, la Regione passa sempre meno soldi e fuori dai cancelli della miniera cominciano a premere un'infinità di fornitori: non sono pagati da mesi e l'insolvenza della casa madre rischia di trascinare a picco un indotto che vale altre 400 stipendi. Come se ancora non bastasse, dopo le dimissioni del baby Ad, c'è un vuoto nell'amministrazione che potrebbe accelerare la caduta della società. Anche se dopo la bufera Lorefice, il governatore Cappellacci avrebbe in mente di nominare amministratore delegato l'attuale direttore generale, Mario Porcu, che è un suo uomo di fiducia, e sottrarre così un altro posto a quel Pdl sulcitano con cui proprio il presidente della Regione è in lite da tempo. Ma al di là delle nomine passate e future, dice bene il segretario della Camera del lavoro, Roberto Puddu, quando sentenzia: «La Carbosulcis è il primo problema del territorio, ma anche la nostra prima opportunità per uscire dalla crisi». È vero, se il progetto integrato passasse a Bruxelles, ci sarebbe energia a buon mercato per le grandi industrie del polo di Portovesme e anche da quelle parti potrebbe esserci la ripresa. Oppure ci sarebbe da vendere il gesso, altro prodotto di scarto delle centrali, piazzato semmai in Inghilterra, come fa adesso l'Enel, dove lo usano per produrre cartongesso. Oppure sarebbe tutto un altro futuro se ripartisse il progetto internazionale per l'energia pulita, con il Co2 (l'inquinante anidride carbonica) da stoccare nelle gallerie in disuso, insieme alle ingombranti ceneri oggi invece raccolte a cielo aperto. Ma per far tutto questo, serve il sì europeo, che deve approvare il progetto e liberare gli incentivi previsti dal dubbio che siano aiuti di Stato. «Servirebbe una forte pressione della Regione sull'Europa», dice Mario Crò, segretario della Uil, che invece denuncia «un atteggiamento fin troppo morbido e sospettoso». Com'è sospettoso che un’idea per desolforare il carbone, pensata dagli ultimi assunti, sono tutti giovani professionisti, sia stata accantonata con troppa fretta dagli attuali dirigenti. Mentre l'utilizzo di quel brevetto internazionale permetterebbe al carbon-Sulcis, con lo zolfo ridotto all'un per cento, di essere caricato in sicurezza sulle navi e dunque venduto all'estero. Oppure, sempre con lo stesso brevetto, ci sarebbe la possibilità di tirar fuori un altro scarto ben pagato dalle industrie di fertilizzanti. Invece, a Nuraxi, pensano a campare e basta. «Se finissero le lotte intestine - dice Fabio Enne, segretario della Cisl - qui potremmo parlare finalmente di sviluppo, ma l'azionista unico continua a gonfiare le clientele». E se il prossimo tentativo di privatizzazione dovesse andare a vuoto, la sentenza è scritta: addio carrozzone.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

In Primo Piano
L’intervista in tv

Alessandra Todde: «L’Italia non è il paese della felicità che racconta la premier Giorgia Meloni»

Le nostre iniziative