La Nuova Sardegna

«Orsola ha lottato con l’assassino»

di Elena Laudante
«Orsola ha lottato con l’assassino»

Il medico legale ricostruisce in aula il delitto di Alghero e i lunghissimi minuti di agonia dell’insegnante

16 giugno 2012
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SASSARI. Il «confronto violento» con l’assassino, armato forse di un vero e proprio cappio, è durato minuti lunghissimi. Attimi di asfissia che si alternavano a momenti in cui Orsola Serra sperava di restare in vita. È così che si muore di strangolamento: la trachea offre resistenza a chiudersi per sempre, il volto cambia colore lentamente, a tratti si riesce a respirare. Non una sofferenza particolare, piuttosto grande «angoscia, spavento, terrore», spiega il medico legale. L’insegnante di Alghero di 50 anni, uccisa il 23 ottobre scorso, dunque ha combattuto, anche se non ci sono segni sul suo corpo. Il direttore del servizio di Medicina legale, Francesco Lubinu, consulente del pm Paolo Piras, lo ricorda alla Corte d’assise che giudica Alessandro Calvia, algherese di 41 anni, amante saltuario di Orsola, accusato d’averla uccisa perché voleva vivere con lui. Il racconto di Lubinu è centrale in un’udienza densa di squarci sulla loro relazione, che la migliore amica della vittima ricorda come «sfilacciata», fatta di sms provocatori e caratterizzata da un solo incontro intimo. Non molto di più. L’inizio non era stato dei migliori: si erano conosciuti in un cimitero, poi lui le aveva lasciato una rosa sul parabrezza dell’auto.

Rivolto alla Corte, presidente Pietro Fanile a latere Rita Serra, Lubinu sottolinea che la mano sinistra della vittima «era chiusa a pugno, appoggiata sotto il viso: cercava di dare una risposta reattiva all’aggressione», o forse di allentare la morsa del cappio che qualcuno le ha stretto attorno al collo, la domenica sera, sul suo letto a baldacchino, in via Togliatti 27. E che poi ha lasciato la corda lì con le estremità aperte a confondersi tra i capelli, appena tinti dal biondo al nero. Su quel cordino c’è la firma di Calvia, il Dna trovato soprattutto nella parte centrale del laccio, sotto il mento di Orsola, dove forse avrebbe dovuto esserci solo quello della vittima. «Il ritrovamento del Dna in quel punto, cioè al centro - argomenta il consulente - è compatibile con l’uso del cordino come un cappio», a mo’ di nodo scorsoio. Il pm Piras è preparato: porge a Lubinu un vasetto da fiori e un cordino di 160 centimetri identico all’arma del delitto; è ripiegato in due e un nodo lega i capi liberi, come l’”originale”. E il medico legale simula il delitto. L’assassino «potrebbe aver infilato un lato nell’ansa per creare un cappio, e poi liberato il nodo dopo l’azione», spiega. Deve ammettere però - incalzato dalle domande dei difensori Nicola Satta e Danilo Mattana - che si tratta di «illazioni» fatte sulla base della posizione del Dna. Come può l’assassino essersi fermato a sciogliere il cappio, essendo stato trovato con le estremità libere? «Forse nel tentativo di portarlo via», è la spiegazione di Lubinu. Che però predilige, quale ricostruzione più probabile, l’ipotesi della corda usata tenendo con due mani le estremità, estremità dove però il Dna di Calvia non c’è. A proposito del ritrovamento del codice genetico, su domanda dell’avvocato Satta Lubinu rivela che «si seguono metodiche diverse» rispetto a quella usata in questo caso. Poi conferma che l’orario della morte si riconduce alle 20 del 23 ottobre, e che l’ipotesi del suicidio per impiccagione è esclusa categoricamente, come del resto aveva detto da subito.

Dagli elementi scientifici ai sentimenti di Orsola, che si era legata all’uomo sospettato di averla uccisa perché lei - per il pm, è il movente - voleva che lasciasse la fidanzata. Ne ha parlato Isabella Di Maio, depositaria delle confidenze dell’insegnante. «Mi raccontava di essere innamorata di Calvia, voleva un rapporto stabile. Diceva che lui doveva averle fatto un sortilegio». Ma quel rapporto magico si risolveva in qualche messaggino sul cellulare, «sms particolari», si lancia la testimone con qualche imbarazzo. «Messaggi di gelosia o a doppio senso», ma sempre soltanto parole perché «Orsola raccontava quello che lei provava, ma non diceva se si vedevano o cosa facevano». Ma lui l’aveva mai trattata male? chiede uno dei difensori di Calvia. «Credo non la trattasse bene, anche se non era violento», ricorda la Di Maio. Un esempio la dice lunga: «Una volta lo vedemmo in un supermercato. Lui era con la ragazza e non la calcolò per niente». Ancora, per strada Isabella Di Maio l’aveva fermato per sapere se lui stesse con Orsola o meno. E Calvia l’aveva apostrofata così: «Chi, quella lì?», senza fornire una risposta tutto sommato superflua. Come episodio di vita vissuta «solo un rapporto in estate», per Orsola un’esperienza molto importante, quasi unica. Poi solo sentimenti non ricambiati. Calvia l’aveva detto perfino al pizzaiolo sotto casa, quando era finito indagato. Cercava il suo alibi, perché sostiene che alle 20 del 23 ottobre era a ordinare due pizze in via Mazzini, con la fidanzata. Dopo l’inchiesta era tornato lì, dal figlio del proprietario, a chiedergli di testimoniare per lui. «Disse - racconta il ragazzo - che lei era innamorata di lui, ma che a lui non interessava». Il 2 luglio altri testimoni.

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