La Nuova Sardegna

«La crisi sarda assomiglia a quella greca»

di Mauro Lissia
«La crisi sarda assomiglia a quella greca»

Intervista con l’algherese Zazzara (Riskmetrics), esperto di finanza: ma i guai dell’isola non spaventano il resto d’Italia

13 maggio 2012
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INVIATO A ROMA. La Sardegna? Un po' paradiso da offrire ai turisti e un po' Grecia, candidata alla povertà. Bene l'arrivo dello sceicco, benissimo il governo Monti, male l'Italia che trepida per le sorti economiche di una Spagna sempre più prossima al default. E le banche? Vittime anche loro della crisi globale, che ha messo a nudo le debolezze degli stati governati con leggerezza. A interpretare col realismo delle tendenze economiche il mondo che verrà è Cristiano Zazzara, responsabile globale banking business di Riskmetrics, società leader mondiale nella gestione del rischio chiamata a valutare la salute delle economie planetarie. Nato e cresciuto ad Alghero, Zazzara vive tra Londra e gli States, ma soprattutto sugli aerei che lo trasportano da un giorno all'altro tra Asia, Giappone, Centro Europa, ultimamente Grecia. E' lui che fa i conti ai paesi in difficoltà, valuta i patrimoni pubblici, controlla i bilanci e alla fine, attraverso calcoli complessi, assegna una specie di voto. Da quel voto dipende l'affidabilità che Riskmetrics – nata con Jp Morgan e dal 2010 partner di Msci, colosso planetario nella gestione del rischio – darà agli interventi di risanamento decisi dai governi. Se gli economisti deducono e applicano teorie, lui legge i numeri e li mette in relazione: la sua visione della crisi è quasi aritmetica.

Zazzara, nel 2008 la crisi nata dai subprime americani ha riportato l'Europa coi piedi per terra, oggi siamo sull'orlo del precipizio.

«Quella crisi era stata provocata dalle banche, quella attuale riguarda i paesi sovrani e le banche sono soggette alla crisi come gli altri».

Chi ci guadagna?

«Nessuno, pagano tutti. E' una situazione molto grave, le banche subiscono perdite ingenti che stanno conducendo al ridisegno dell'intero sistema finanziario mondiale».

Nessuna eccezione?

«Direi di no, non vedo vincitori in circolazione».

I paesi sovrani però si trovano in una posizione passiva, chi sta nell'euro non può battere moneta e deve soggiacere alle indicazioni dei mercati. La conseguenza è che gli Stati hanno perso il controllo del sociale, non hanno più autonomia nella gestione delle sofferenze interne.

«Sì, con questa crisi la sovranità dei paesi si è persa del tutto in Europa, le decisioni vengono prese in ambito europeo quindi gli Stati hanno perso potere. Ma paesi come Grecia, Spagna e anche Italia hanno la possibilità di diventare più efficienti, mentre non lo sono stati negli ultimi anni».

Lei fa riferimento allo stato economico?

«Certo, basta guardare il livello del debito pubblico. Potevano battere moneta e gestire le spese a piacimento e si è visto a che cosa ha condotto quella libertà. I paesi con poca disciplina hanno un'occasione per migliorarsi. L'Italia su tutti, lo dicono i numeri».

Il governo Monti però è intervenuto in modo drastico, seguendo strade impopolari. Gli strumenti scelti sono davvero utili?

«Il governo italiano ha recuperato una notevole credibilità in campo internazionale sul piano politico ed era indispensabile ritrovarla, dopo anni di difficoltà. Monti è un interlocutore riconosciuto a livello europeo. Tagliare i costi e alzare le tasse sono state scelte inevitabili, i cui effetti non si vedranno domani. Ci vorrà qualche anno, ma credo che gli italiani comprenderanno col tempo l’importanza di quanto è stato fatto e di quello che si sta facendo».

Ma come si può pensare che un paese impoverito da nuove e pesanti tasse possa poi consumare quanto serve a riprendere la crescita?

«L'urgenza è rientrare nel pareggio del bilancio, questo è il primo passo. Poi c'è la crescita, che passa per un ritorno degli investimenti e per una revisione del mercato del lavoro. Le tasse hanno un impatto immediato, la crescita viaggia su tempi diversi, quindi è normale che oggi non si percepiscano i vantaggi. Ma il rigore ferma gli sprechi e impone il risparmio di risorse, che poi daranno fiato agli investimenti e alla crescita.. Non esiste la bacchetta magica, ci vuole tempo».

E' vero che le banche si preparano ad acquisire beni immobili statali e servizi pubblici, come le telecom e le aziende di distibuzione del gas?

«E' vero che ci sarà una fase di vendita che avverrà attraverso le banche, molti beni saranno privatizzati».

Ma privatizzare i servizi non significa poi concentrare tutto in poche mani e in poche teste, quelle che poi imporranno le tariffe a livello europeo, senza alcuna possibilità di contrasto?

«E' possibile, ma privatizzare e liberalizzare significa anche migliorare i servizi e contenere le tariffe. Starà alla politica proteggere il mercato dalle distorsioni».

In Grecia la svendita del patrimonio pubblico è cominciata.

«La Grecia potrebbe uscire dall'euro e potrebbe anche essere giusto che questo avvenga. E' un paese talmente indietro rispetto ai parametri di Maastricht che forse la cosa migliore è uscire e gestire la crisi in maniera autonoma. Con rischi di inflazione elevatissima, certo. Ma forse è stato un errore includere nell'euro stati con una disciplina di bilancio così lontana. In paesi così estremi il rigore può essere controproducente, non sono tutti come la Germania. E' stata una scelta miope».

E l'Italia? Beppe Grillo propone di uscire dall'euro.

«E' impossibile. L'Italia è un paese talmente grande da rendere complessa la gestione delle crisi bancarie interne. Ma soprattutto ha un'economia interconnessa con quelle degli altri paesi che uscendo dall'euro porterebbe alla rovina l'unione europea. L'eventuale uscita della Grecia non preoccupa, l'uscita dell'Italia sarebbe un cataclisma. Le banche greche hanno esposizioni minime con l'estero, l'Italia è in una situazione molto diversa».

La Sardegna assomiglia molto alla Grecia e per questo patisce di più la crisi.

«E' vero e non sempre questo viene compreso dalla politica nazionale. La conseguenza è la ripresa degli indipendentismi. Ma la somiglianza con la Grecia è legata anche al fatto che una Sardegna indipendente non spaventa granché il resto dell'Italia».

Di certo lo stato economico sardo si è aggravato dalla crisi del 2008 ad oggi.

«Si è aggravato perché si è fatto poco per invertire la tendenza. Servirebbe incentivare le aziende di base, finanziare il turismo… ecco, eventuali investimenti dall'Emirato del Qatar sarebbero utili, io li vedo piuttosto bene».

Aiuti alle aziende potrebbero arrivare anche dalle banche, che invece guardano altrove. La Sardegna una banca locale non ce l'ha più…

«Sì, anche in questo assomiglia alla Grecia. Ma se non c'è più una banca sarda significa che qualcuno nel passato ha sbagliato, non si può pensare che l'Emilia Romagna si interessi troppo alla Sardegna. Quella banca bada solo alla quota di mercato che ha, una quota minima».

Nel 2008 lei considerava il sistema bancario italiano solido e al riparo dalle conseguenze della crisi americana. Oggi come sta?

«Oggi la crisi riguarda i paesi sovrani, le banche hanno la maggior parte degli investimenti in titoli pubblici italiani e l'Italia è un paese a rischio. La salute del sistema bancario italiano è legata al 99 per cento al sistema Italia e oggi il sistema Italia è a rischio».

C'è un rischio di collasso? I risparmiatori italiani possono considerarsi tranquilli?

«Il rischio c'è ma è stato in parte scongiurato dai provvedimenti del governo Monti. Pochi mesi prima esisteva un serio pericolo di insolvenza, l'Italia era sul baratro. Se si andrà a elezioni a breve e tornerà la politica è molto probabile che ritorni anche il rischio di bancarotta».

A proposito di rischio, com'è cambiato il lavoro di uno specialista in rischio?

«Ormai mi occupo quasi esclusivamente di rischio paese. Prima gli investimenti in titoli obbligazionari in paesi come Italia o Francia erano privi di rischio, oggi invece è emerso un grosso rischio. Quindi in altri paesi c'è preoccupazione, in America, in Asia, ovunque sia stata acquistata un'azione italiana. Io mi occupo di valutare questi rischi».

Ma su cosa si basa la sua valutazione, quella di Riskmetrics?

«Parametri oggettivi, che sono di mercato. Che poi trasferiamo su modelli statistici matematici. Ma i dati oggettivi sono filtrati attraverso la situazione politica, ecco perché è stato importante l'arrivo del governo Monti. L'elezione di Hollande, per esempio, cambia lo scenario francese».

Ma la percezione dell'immagine italiana nel mondo qual è adesso?

«Migliorata, ma i timori sono diffusi. Per esempio in Asia esiste la paura che la situazione dell'Italia precipiti e si tende ad alleggerire i portafogli di titoli italiani, come anche spagnoli. Direi soprattutto spagnoli, perché oggi il rischio grosso, reale, non è Grecia, Portogallo o Irlanda ma Spagna. Perché in Spagna sta per crollare il mercato immobiliare e se questo avverrà si trascinerà appresso anche l'Italia».

E dove finirà questo patrimonio immobiliare spagnolo che condiziona il futuro dell'Italia?

«Si sta cercando di creare una bad bank, dove veicolare le sofferenze. E' un pericolo reale per l'Italia, perché malgrado il recupero di credibilità il nostro paese non è fuori dalla crisi. Sul breve lo spread migliora, ma sul lungo le prospettive non sono certe e gli investitori non si fidano. Bisogna lavorare con l'Europa e sulla disciplina economica, altrimenti non se ne esce. I richiami all'autonomia di Grillo lasciano il tempo che trovano, serve spessore internazionale».

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