Un fenomeno che non sempre è conseguenza di una malattia e che coinvolge il 13 per cento della popolazione occidentale
Sentire le voci e muoversi sulla via della guarigione
Bettina Camedda
16 marzo 2012
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CAGLIARI. Sentire «le voci» non è sempre conseguenza di una malattia. Secondo l'ultimo rapporto dell'American psychiatric association circa il 13% della popolazione occidentale sente le voci eppure questa peculiarità non è collegata alla schizofrenia. Non è un caso dunque che nel quinto Dsm (il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, che uscirà nel 2013) l'esperienza del sentire le voci non sarà considerata più come criterio assoluto per la diagnosi della malattia. C'è di più: per i due terzi degli «uditori» le voci non sono un'esperienza invalidante ma positiva. Perché hanno imparato a conviverci, o meglio ad ascoltarsi. Un processo che deve avvenire gradualmente come spiegato nel seminario «Capire le voci e lavorare per la guarigione» che si è svolto ieri pomeriggio nella sala convegni dell'hotel Regina Margherita. Un evento organizzato dall'Asarp, l'associazione sarda per l'attuazione della riforma psichiatrica, presieduta da Gisella Trincas e da Asarp uno cooperativa. «Il problema non è sentire le voci in sé quanto il rapporto che si ha con esse - spiega Marcello Macario, psichiatra responsabile del Csm Asl 2 di Savona e promotore della rete italiana degli uditori di voci - nel 70% dei casi la comparsa delle voci ha una forte connessione con i traumi vissuti dall'uditore. Dagli abusi sessuali, a un lutto, una separazione. Ecco perché le voci hanno un senso e se compreso aiuta a risolvere quell'esperienza traumatica». Esperienze difficili come quella vissuta da Rufus May, oggi psicologo clinico, che all'età di 18 anni venne rinchiuso in un ospedale psichiatrico e imbottito di farmaci. Fino a quando ha detto basta. «Quelle voci erano legate ad un mio senso di colpa - afferma May, l'ideatore dell'approccio alternativo di affrontare le voci basato sull'ascolto interno - è necessario capire le ragioni delle voci per imparare a viverci insieme. Chi riesce a fronteggiare le voci stabilisce dei confini, crea una relazione paritaria con quella voce anche se dice delle cose negative e soprattutto acquisisce la sicurezza che prima non aveva. La "follia" è il modo creativo per maneggiare il dolore».