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Inquinamento a Porto Torres, lo Stato si costituisce contro l'Eni - VIDEO - FOTO

Elena Laudante
<strong>I paladini.</strong> Gavino Sale e i militanti dell’Irs anche ieri hanno presenziato l’udienza contro l’Eni (foto di Mauro Chessa)
I paladini. Gavino Sale e i militanti dell’Irs anche ieri hanno presenziato l’udienza contro l’Eni (foto di Mauro Chessa)

La presidenza del Consiglio e il ministero dell’Ambiente si costituiranno parte civile nel processo per i veleni di Porto Torres ai vertici di Syndial, Vinyls e Sasol. Lo ha annunciato l’avvocato dello Stato alla Corte d’Assise

06 marzo 2012
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SASSARI. Non solo il ministero dell'Ambiente batterà cassa per il danno irreparabile che potrebbe essere stato causato dallo sversamento a mare di cadmio, mercurio, cianuri, benzene, idrocarburi. Ma anche la Presidenza del Consiglio ha deciso di avversare i padroni del Petrolchimico, costituendosi parte civile. Significa che se accertato, l'inquinamento della darsena di Porto Torres è un insulto a tutta la collettività. Lo ha annunciato ieri l'avvocato dello Stato Francesco Caput alla Corte d'Assise, che giudica i rappresentanti di Ineos Vinyls, Sasol e Syndial (Gruppo Eni). La richiesta di ammissione come parte civile sarà depositata nella prossima udienza, il 27 aprile. Poi i giudici decideranno se accoglierla o meno.

Il segnale è forte, se si pensa che all'udienza preliminare del luglio scorso lo Stato era assente. Sul banco degli imputati ci sono gli allora vertici turritani di tre colossi della Chimica con accuse da brivido. Da Corte d'Assise, appunto: disastro e avvelenamento dolosi, perché il sospetto della magistratura sassarese è che dallo stabilimento siano stati scaricati tra i flutti scarti cancerogeni che si insinuavano nei pesci e che, quindi, potrebbero essere finiti sulle nostre tavole. Ma di tutto questo si discuterà nel contraddittorio delle parti, in un processo che si annuncia storico, di certo per la Sardegna.

Ma l'udienza di ieri, iniziata con un po' di ritardo poco dopo le 9.30, è stata sostanzialmente una falsa partenza. E tutto per un macroscopico difetto di notifica, distorsione della complessa macchina pre-processuale. Che vede uno dei principali "imputati" Ineos Vinyls Italia Spa, qui ricercato in qualità di responsabile civile, di fatto latitante: gli ufficiali giudiziari non sono riusciti a trovare la sede legale. O meglio, i commissari nominati nominati dopo il passaggio da Ineos Vinyls a Vinyls - risalente al 2008-2009 - hanno respinto le notifiche.

«Abbiamo inseguito la Vinyls ma c'è stata confusione, i commissari hanno detto che loro non c'entrano nulla con la Ineos Vinyls», ha ammettesso il presidente della Corte, Pietro Fanile, che ha a latere il giudice Teresa Castagna. «Dov'è Ineos?», ha esclamato l'alto giudice. Silente il pubblico ministero Michele Incani, che ha istruito un processo faraonico con decine di consulenze tecniche e avversari temibili. Ma la differenza è solo nella prima parte del nome, Ineos: l'avvocato Pierluigi Carta è riuscito a trovarla, e ha chiarito l'equivoco: il decreto ministeriale spiega chiaramente che si tratta dello stesso soggetto, prima e dopo l'amministrazione straordinaria. Nulla da osservare dal nutrito banco della difesa, dove l'avvocato Agostinangelo Marras - che difende con il collega Mario Brusa il rappresentante legale Sasol - ha ribadito la necessità di notificare l'atto col quale Vinyls verrà chiamata a pagare i danni in caso di condanna degli imputati. Si tratta del rappresentante legale Sasol, Guido Safran, nato ad Alessandria d'Egitto e residente a Milano, di Gian Franco Righi, oristanese residente a Nuoro, (difeso dai legali Carlo Federico Grosso, Piero Arru, Fulvio Simoni e Luigi Stella) all'epoca massimo dirigente Syndial Spa, anche l'unico che ieri si è presentato in aula. E poi Diego Carmello, veneto, rappresentante legale Ineos Vinyls, e il direttore di stabilimento Francesco Maria Apeddu, sassarese (assistiti dagli avvocati Giovanni Mattu, Luca Santa Maria e Alfio Valsecchi).

Il capo d'imputazione fitto di riferimenti tecnici e valutazione sui limiti di legge che sarebbero stati superati, li descrive come artefici della trasformazione di uno specchio d'acqua in una discarica cangerogena. Secondo gli esperti consultati dal pm Incani, i padroni del Petrolchimico hanno gettato lì i residui attraverso la rete fognaria del complesso industriale. Facendo finire in mare solventi di ogni tipo, «sostanze cancerogene e pericolose per l'ambiente acquatico»: cadmio, cromo, benzene e quei metalli dai nomi impronunciabili e forse per questo più spaventosi - diocloretano, etilbenzene, xilene - proibiti dall'Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro di Lione, che fa capo all'Organizzazione mondiale della Sanità. In alcuni casi, le contestazioni fanno riferimento al momento della verifica, e si esauriscono nell'arco 5-7 dicembre 2005. In altri si chiudono con indicazioni temporali inquietanti: «Dal dicembre 2005 (data di primo accertamento) e tuttora in atto», oppure «in permanenza».

È tutto talmente attuale che chi lavorava su quella darsena, magari da generazioni, ha dovuto chiudere bottega. Come i maestri d'ascia Polese, artigiani della produzione di gozzi, la cui rimessa confinava (è chiusa da tempo) col Petrolchimico. Ieri erano in aula con il loro legale di parte civile, Pasqualino Federici, che si era costituito già in udienza preliminare come avevano fatto Provincia di Sassari (legale Elisabetta Piras), Comune di Porto Torres (legale Francesco Carboni) e associazione Ampana. Ieri hanno chiesto di aggiungeri all'elenco dei danneggiati l'Ente parco dell'Asinara, la ditta Sna, i Medici per l'Ambiente, il Comitato tuteliamo il Golfo dell'Asinara (rappresentati dal legale Ivan Cermelli); il Comune di Stintino; un gruppo di pescatori, rappresentato dall'avvocato Carta. Per tutti la Corte deciderà il 27 aprile.

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