La Nuova Sardegna

«Nuvola Bionda», gay al tempo del fascismo: spedito in miniera

Gianfranco Nurra
«Nuvola Bionda», gay al tempo del fascismo: spedito in miniera

"A Roma mi ero innamorato di Nicola, figlio di un fornaio. La matrigna lo riferì alla polizia che mi arrestò. Arrivai nel 1941. A noi omosessuali il capo ci trattava come bestie, ci mise anche i campanelli ai polsi"

25 febbraio 2012
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CARBONIA. C'è un racconto, pubblicato su una rivista del mondo omosessuale, che conferma quanto detto dal senatore del Pdl Giuseppe Ciarrapico a proposito del trattamento che veniva riservato ai gay durante il ventennio fascista. Durante una trasmissione radiofonica, il parlamentare ha affermato che venivano mandati a Carbonia, in miniera. Sfogliando le pagine della rivista Adam ci si imbatte in una testimonianza diretta.

Un certo Vittorio, soprannominato Nuvola Bionda, racconta del suo arrivo a Carbonia. «Fui vittima di una delazione - racconta -. Mi ero innamorato di Nicola, un ragazzo molto bello, il figlio di un fornaio di Trastevere. La matrigna di Nicola non vedeva di buon occhio la nostra amicizia. Intuì che io ero gay e per liberarsi del figliastro raccontò i suoi sospetti ad un prete di sua fiducia che la indirizzò a un commissario di polizia. Ci pizzicarono a letto assieme, all'alba di un giorno di primavera del 1941. Fui processato e spedito a Carbonia, in Sardegna. Lì fu brutta davvero. Stavo in miniera con altri come me e certi comunisti. Ma non si poteva parlare mentre si lavorava. E la sera si era troppo stanchi per fare conversazione. Eravamo trattati come bestie. Il peggio fu quando arrivò un certo Calascione. Questo tipo ci odiava, a noi. Ci mise dei campanelli ai polsi e alle caviglie in segno di scherno, «così la gente quando vi sente arrivare, scappa. Siete peggio degli appestati», ci diceva.

Un racconto, quello di Nuvola Bionda, che pare comunque estremo. Molti dei vecchi minatori si ricordano della presenza di omosessuali in città durante il ventennio fascista. Ma nessuno ha memoria di vessazioni o maltratamenti particolari legati alle loro preferenze sessuali.

«Ne ho avuto alcuni tra i compagni di lavoro. Ma non ci sono mai stati problemi. Erano minatori come noi e come tali accettati - racconta Antonio Salis -. E poi, si stava talmente male che non c'era il tempo di scegliere le amicizie. Contava solo il fatto di scendere nei pozzi e lavorare nella stessa miniera».

Quel che appare certo è che quella degli omosessuali fu realmente una categoria che negli anni del ventennio fu soggetta a vere e proprie persecuzioni. La repressione del «vizio» omosessuale fu attiva nel periodo fascista senza bisogno di processi. A propria discrezione la polizia poteva intimidire, picchiare, ammonire, diffidare o inviare al confino tutti quelli che potevano essere ritenuti «turbatori della moralità».

Così, furono una normalità le deportazioni dei gay verso le miniere di carbone di Carbonia, esattamente come avveniva per gli oppositori del regime, carcerati a cui veniva cancellata la pena in cambio del lavoro in miniera e per altre persone di indubbia pericolosità. A Carbonia c'era un grande bisogno di manodopera, e se nonostante le difficoltà del lavoro moltissimi (i carcerati per esempio) la vedevano come la città della speranza, per il governo era anche una sorta di campo di concentramento, luogo ideale per isolarvi nemici politici e persone appartenenti alle categorie «scomode». Come gli omosessuali. Ma forse proprio per questo, e per quella sorta di solidarietà che si instaura tra gli oppressi, tranne rari casi non vi furono mai grandi problemi o fenomeni di rifiuto o di violenza nei confronti dei gay. La difficoltà nei rapporti quotidiani con il potere, rappresentato soprattutto da chi dirigeva la miniera, era un problema non solo per gli omosessuali ma per gran parte della popolazione. Che, per un motivo o per l'altro si ritrovava schedata e oggetto di particolare attenzione da parte della polizia.
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