La Nuova Sardegna

La vita e le opere di un profeta ottimista

Giulio Angioni
La vita e le opere di un profeta ottimista

Uno straordinario organizzatore di cultura che come pochi sapeva promuovere e gestire energie umane e intellettuali

20 febbraio 2012
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Giovanni Lilliu, intellettuale a tutto tondo tra i massimi sardi del Novecento, Antonio Gramsci non lo avrebbe definito un intellettuale tradizionale, chiuso nella sua specialità e commesso del ceto di governo e delle classi dominanti, nel nostro caso anche esterne all'isola, ma lo avrebbe detto, credo, un intellettuale organico al popolo sardo, in modo insolito in Italia.  Certo Giovanni Lilliu è stato un padre della patria, un Sardus Pater ufficialmente designato dal governo regionale della Sardegna. E tale lo sentono i sardi, che considerano questo piccolo uomo della Giara come uno dei più grandi sardi del secolo scorso, e straordinariamente nazional-popolare, alla maniera e del calibro di Emilio Lussu, di cui è stato a lungo amico e interlocutore.  Della sua immensa operosità come archeologo non spetta a me dire, se non ricordando che il suo lavoro a Barumini ha colpito la fantasia dei sardi e no, tanto che è diventato egli stesso una sorta di bene archeologico, tanto gli si è costruita addosso l'immagine di testimone pincipe e privilegiato della preistoia sarda nuragica e prenuragica.  Ho conosciuto, a modo mio di bambino di sette anni, Giovanni Lilliu comiziante a Guasila nella storica campagnia elettorale del 1948. Lo ricordo per mettere in risalto una sua qualità rara, che lo qualifica e ne spiega la stima universale e trasversale agli schieramenti politici di allora e successivi. Lilliu è stato, tra l'altro, anche un uomo politico, democristiano, che però interloquiva costruttivamente sempre con tutti, compagni, concorrenti e avversari, non solo negli anni del suo impegno politico diretto come consigliere regionale: impegno che, tra l'altro, ha fruttato alla Sardegna cose come la Cittadella dei Musei di Cagliari, l'Istituto Superiore Etnografico di Nuoro, la Scuola di specializzazione in Studi sardi dell'Università di Cagliari, ancora egregiamente operanti.  Questa sua capacità ha avuto forse il suo momento più difficile ma positivo nel Sessantotto e dintorni, che ha coinciso con gli anni della sua presidenza della Facoltà di Lettere a Cagliari. Lilliu è riuscito a operare da preside, da docente, da studioso e da intellettuale a tutto tondo, facendosi stimare da tutti o quasi gli opposti (anche estremistici) di quei tempi di contestazione generale, in un luogo, l'università, che allora in ogni parte del mondo era più che simbolo di azione politica dirompente; e con anche a Cagliati la Facoltà di Lettere come centro nevralgico, difficile da gestire. Sul muro esterno dell'edificio centrale di Lettere si è letta per decenni la scritta sessantottina in affettuoso sardo maccheronico: «Lilliu è miu e lu gestiscu iu», che io so essere di mano studentesca femminile di quegli anni anche sommamente femministi, in facoltà umanistiche già precocemente molto femminili.  Lilliu è stato un uomo di scuola impegnato in un momento straordinario non solo per la scuola di ogni ordine e grado. E tale fu nel polo umanistico dell'Università di Cagliari, che non molti sanno essere stato nel ventennio degli anni Sessanta e Settanta uno dei luoghi alti della cultura umanistica in Italia e in Europa, non senza meriti importanti di Giovanni Lilliu, storico preside di Lettere e Filosofia. In questo ruolo Lilliu è stato organizzatore di cultura solerte, paziente, audace ed efficiente, così come lo è stato nella Sardegna intera e oltre, non solo come archeologo di fama e come accademico dei Lincei.  A lungo direttore della rivista Studi Sardi, degli studi sardi Giovanni Lilliu rimane un pilastro, tanto quanto studiosi del calibro di Max Leopold Wagner o Alberto Mario Cirese, che possono, con lui, indicarsi oggi, non solo simbolicamente, in una triade esemplare di cultori degli studi sardi del Novecento. Utili anche nel nuovo secolo e nel nuovo millennio, oggi che tutto il mondo si riproduce vario in ogni luogo, anche nei paesi contadini come la Barumini di Lilliu: il quale, anche oltre le sue intenzioni di storico rigoroso, riscalderà ancora molti cuori sardi con una lettura della preistoria e della storia sarda che tende ad esaltare la resistenza contro i contatti esterni acculturanti, duri, molti, costanti, dacché le prime torme di africani (come il professor Lilliu diceva cinquant'anni fa in una delle sue lezioni più ispirate), forse già milioni d'anni fa, salve dal mare, si sono arrampicate sulle nostre coste per poi raggiungere per la prima volta a mano a mano le giare, le montagne, i campidani.  Se non è mai stato facile essere sardi, a Giovanni Lilliu è riuscito in modo esemplare. Se la globalizzazione ha una sua domanda globale di peculiarità locali, anche in questo Lilliu, da sardo, ha stabilito un primato. Se da queste parti si può essere anche profeti ottimisti, Giovanni Lilliu lo è stato, non solo verso il nostro passato più lontano, ma soprattutto verso il nostro futuro da costruire.
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