La Nuova Sardegna

Gavino Ledda rilancia l'allarme-cave: salvate i luoghi di Padre padrone

Pier Giorgio Pinna
Lo scrittore davanti all’altura che sovrasta le terre di Padre padrone
Lo scrittore davanti all’altura che sovrasta le terre di Padre padrone

Ambiente da tutelare. Il progetto è diverso da quello presentato anni fa a poca distanza

03 giugno 2011
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SILIGO. Un altro scempio naturalistico nella terra di Padre padrone? Gavino Ledda lancia di nuovo l'allarme: «Qualcuno vuole riaprire la cava che da un quarto di secolo sfregia Baddevrùstana, dov'è ambientato il mio libro, ingrandendo il cantiere e provocando disastri peggiori del passato». «Allora io grido con forza tutta la mia contrarietà», tuona lo scrittore.

E domanda: «Come si possono ipotizzare interventi del genere in un'area così bella, forse destinata domani a parco letterario regionale?». Pochi giorni fa Ledda aveva denunciato la grottesca procedura che lui e gli altri artisti beneficiari della legge Bacchelli devono seguire per continuare ad avere l'assegno: «Ci costringono a provare ogni mese di non essere morti con l'invio di un certificato d'esistenza in vita».

Ora solleva il nuovo caso. E neppure sul fronte-cave, a porsi dubbi, non è solo. L'autore di Padre padrone, nel 2005, aveva sollevato perplessità analoghe per un'iniziativa simile a poca distanza, ricevendo in cambio una scarica di pallettoni sul portone di casa. Tutto dopo il sequestro disposto dalla magistratura per una serie d'irregolarità e dopo l'alt al progetto. Stavolta cambiano i luoghi (non di molto: in linea d'aria il tratto sotto osservazione dista poco più di un chilometro). E cambiano gli imprenditori. Vediamo.

Nel 2010 la Sacit Srl (non si sa dove sia la sua sede principale) avvia nel territorio di Siligo la procedura «per la coltivazione di una cava di sabbia» a Monte Unturzu, porzione di Monti Santu, sul versante che s'affaccia verso Ardara e Mores. Un rilievo molto conosciuto per le caratteristiche geomorfologiche che ricordano un vulcano e perché è ben visibile dagli automobilisti in transito sulla Carlo Felice.

Al termine della presentazione dei piani e della loro analisi da parte delle autorità di controllo, la Provincia e la Forestale di Sassari ricordano l'esistenza di vincoli naturalistici. In particolare, quelli derivanti dalla presenza di un bosco, di decine di querce da sughero, di numerose sorgenti. E perciò il Savi, Servizio di sostenibilità ambientale della Regione, propone alla società di presentare uno studio con alternative per evitare compromissioni del paesaggio. Studio da sottoporre poi alla Via, la valutazione d'impatto.

Nessun giudizio, invece, sull'estensione della cava: 6 ettari. E neppure sulle proporzioni dell'attività estrattiva: 600mila metri cubi di sabbia da portar via in 10 anni. «Una grande ferita che un domani sarà difficile far rimarginare», commenta Gaìnu.

Poche settimane fa, con una delibera, il governatore Ugo Cappellacci e l'assessore regionale all'Ambiente si dicono d'accordo con l'impostazione data dal Savi. La Regione insomma sta così alzando l'asticella del livello di responsabilità da parte dell'impresa che propone il progetto: vuole ottenere l'assicurazione che non ci saranno contraccolpi per il territorio. Solamente dopo avere ottenuto queste garanzie, prenderà la decisione finale.

Ma Gavino Ledda è categorico: «Di riaprire la vecchia cava non si dovrebbe neanche parlare: ci sono da tutelare le bellezze del paesaggio, da salvaguardare i luoghi letterari e spirituali di Padre padrone. È folle pensare che possiamo venderci l'anima».

Come lui, a Siligo e nei paesi vicini, la pensano in molti. Dunque questa volta viene dato per scontato che i fucili resteranno nei capanni di caccia e che nessuno ricorrerà a intimidazioni o a minacce per scoraggiare le resistenze al progetto. Anche perché in tutto il nordovest della Sardegna è da tempo sorto un movimento per contrastare lo sfruttamento indiscriminato della sabbia. Con l'obiettivo di proteggere le colline, valorizzare la vegetazione, difendere l'ambiente.

Il che vale soprattutto per un'area come Baddevrùstana. La valle, vasta centoventi ettari, si trova lungo la strada per Ardara. È a 8-9 km da Siligo, quasi ai confini col comunale di Mores, a est della 131 per chi si lascia alle spalle la chiesetta di Mesu Mundu, splendido esempio d'arte bizantina.

Alla famiglia Ledda quelle tanche erano arrivate all'inizio dell'Ottocento con la legge delle chiudende. Il padre di Gaìnu, Abramo, con il passare del tempo aveva avuto in eredità all'incirca venti ettari. Ai suoi fratelli erano andati gli altri appezzamenti. Ma tutti, dagli anni Sessanta del Novecento in poi, avevano via via venduto ogni cosa. E oggi le terre appartengono ad altri. I quali hanno tuttavia preservato il paesaggio che sin dal Neolitico ha visto il transito di tanti popoli nomadi e che - a parte la vecchia cava mai bonificata - si presenta ancora integro, come parecchie migliaia d'anni fa.

Una ragione in più per proteggerlo. E magari, come suggerisce Ledda, per rilanciare l'idea del parco letterario, un progetto che si era arenato dopo l'avvincendamento alla Regione tra Renato Soru e Ugo Cappellacci.

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