La Nuova Sardegna

Addio Gita, il tempo è scaduto: Vinyls nel baratro

Silvia Sanna
Il ministro Romani a Porto Torres
Il ministro Romani a Porto Torres

Il tempo è scaduto: i soldi annunciati da Gita ancora non si vedono e il ministro Romani ha deciso di non concedere altre proroghe al fondo svizzero-tedesco. La vertenza Vinyls riparte dalle altre offerte presentate al bando

16 aprile 2011
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SASSARI. Il tempo delle proroghe è scaduto, i soldi annunciati quindici giorni fa ancora non si vedono e il ministro chiude le porte a Gita. Romani, lo stesso che a dicembre aveva definito gli investitori svizzeri «persone serie e affidabili», dopo un rosario di rinvii e scadenze mai rispettate dice che è arrivato il momento di guardare avanti, «prendendo in esame anche altre proposte». Per la Vinyls è buio fitto. Martedì i sindacati e le istituzioni saranno a Roma, al tavolo convocato al Mise per fare il punto della situazione. Sotto, a manifestare nella piazza, ci saranno anche gli operai.

La mazzata arriva alle 7 di sera, quando le banche sono chiuse da un pezzo e dal Veneto arriva la conferma che dei 100 milioni versati da Gita non c'è traccia. Nonostante le ultime rassicurazioni da parte dell'amministratore delegato Giovanni Unali, che mercoledì sera aveva ribadito che l'operazione sarebbe andata prestissimo a buon fine, la bella notizia non è arrivata. E il ministro Paolo Romani, che insieme ai commissari straordinari della Vinyls aveva stabilito quella di ieri, venerdì 15 aprile, come la data finale, ha deciso che «la difficile situazione finanziaria di Vinyls Italia e le legittime aspettative dei suoi lavoratori non consentono ulteriori proroghe dei termini». Sarà vero? In questa storia in cui si è detto tutto e il contrario di tutto, dubitare appare legittimo. Anche perché, dietro la porta, non ci sono altri acquirenti pronti a regalare un futuro sereno agli operai della Vinyls.

Ci sono due offerte, una targata Dioki e l'altra Igs, che prefigurano lo scenario spezzatino (con la chiusura dello stabilimento di Porto Marghera) e dunque l'addio al ciclo integrato del clorosoda, quello al quale è (o era) interessato il fondo Gita. E la «tutela del tessuto industriale e dei livelli occupazionali resta una delle priorità del nostro governo, soprattutto in un comparto così strategico come quello chimico», ha ribadito anche ieri sera il ministro Romani. Dunque, pur se la porta è ufficialmente chiusa, è probabile possa riaprirsi nel caso i 100 milioni (più 1milione 400mila euro per gli stipendi di febbraio e marzo), dovessero finalmente comparire.

Pochi pensano che accadrà, per nulla fiducioso è il presidente di Syndial Leonardo Bellodi, che con Gita il 1º marzo aveva firmato l'accordo per la cessione del ciclo del cloro: «La misura è colma, gli svizzeri hanno disatteso gli impegni troppe volte. Peccato, perché sembravano persone serie, ora a continuare a dargli fiducia si rischia di sfiorare il ridicolo. Per riacquistare credibilità, questi signori hanno un'unica strada: pagare, subito». E a chi sostiene che tocchi a Eni farsi carico della situazione, Bellodi dice che «Eni è uscita dal pvc da un pezzo, esattamente dal 1985. Dunque mettere una pezza in questa situazione non è compito suo».

Non è d'accordo la Cgil, il segretario Antonio Rudas chiede che «Eni e governo si sostituiscano a Gita per l'immediata riattivazione degli impianti», così come il segretario territoriale dei chimici Cgil, Massimiliano Muretti: «La soluzione la deve trovare il ministero, perché era stato il ministro a garantire su Gita». Anzi, «a promettere mari e monti», aggiunge Luca Velluto, segretario Cisl. Per questo ora «sarebbe troppo facile cavarsela dicendo "ci abbiamo provato, non è colpa nostra" - aggiunge Giovanni Tavera, Uil chimici -. La Regione e il governo hanno sinora dimostrato di avere poco o nulla peso specifico, non è pensabile che possano lavarsene le mani». Mentre sul Nord Sardegna, come sottolinea la presidente della provincia Alessandra Giudici, si abbatte «una vera sciagura, l'ennesimo schiaffo a questo territorio a causa di impegni disattesi e promesse mancate».

I sindacati, insieme ai rappresentanti delle istituzioni, martedì 19 saranno a Roma, al Mise. Ed è probabile che con loro partiranno anche gli operai. Nei presìdi occupati - l'isola dell'Asinara, la torre aragonese di Porto Torres e la torcia del Vcm al petrolchimico - l'annuncio di Romani ha avuto l'effetto di una bomba. Gli operai sono frastornati, fanno fatica a capire che il nastro dovrà essere riavvolto, che la giostra crudele ricomincia. Dice Pietro Marongiu, il tiranno dell'Asinara: «Stasera abbiamo guardato i filmati di Romani, di quando a dicembre è venuto qui ad annunciare che tutto si sarebbe risolto entro poche settimane. Noi, poveri ingenui, gli avevamo creduto. Che faremo ora? Continueremo a lottare, questo è certo». Gli operai non mollano, neanche «dopo questa colossale presa in giro», dicono Tino Tellini, Michele Cossu e Pinuccio Buongiorno, non cedono nonostante gli scenari sempre più foschi.

Oggi i cassintegrati si riuniranno in assemblea, l'ennesima in questi 16 mesi di occupazione pacifica. Si guarderanno in faccia e decideranno che cosa fare, per provare a rimettere insieme i cocci di un futuro sempre più incerto.

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