La Nuova Sardegna

A proposito dell’Inno sardo

A proposito dell’Inno sardo

24 marzo 2011
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In un programma di Radio Cagliari, dedicato a questo centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, ho sentito una breve dichiarazione di Francesco Cossiga. Parlava di quello che viene chiamato anche «Hymnu Sardu Nazionale», ed altro non è che il vecchio «Cunservet Deus su Re». Cossiga diceva, magari con un tantino di ironia, che lo si sarebbe potuto conservare anche sotto il regime repubblicano, e faceva l’esempio della Germania, che pure attraverso gli straordinari capovolgimenti che ha conosciuto, non ha abbandonato il suo «Deutschland uber alles».

La storia dell’inno è abbastanza curiosa. Fu scritto con ogni probabilità nel 1843, come dice il Costa (ma mi pare contraddicendosi da qualche altra parte): musica del maestro Giovanni Gonella, parole di Vittorio Angius. Gonella era sassarese, seppure di prima generazione. Suo padre Giuseppe, infatti, genovese, era venuto a Sassari come musicante della banda militare del reggimento di guarnigione. Qui nacque, il 10 luglio 1804, Giovanni, tenuto a battesimo da Ambrogio Maria Meropi e da Maurizia Colomba (venuti forse apposta per la cerimonia da Genova: Colomba era il cognome della madre di Giovanni).

Arruolatosi giovanissimo come «tromba» nel Reggimento di Vercelli, passò nel 1831 - dice sempre Costa - nei Cacciatori sardi a Cagliari. Aveva studiato contrappunto ed armonia sotto il capomusica Celli, del quale più tardi sposò la figlia Cecchina. Nel 1843 compose l’Inno Sardo. L’idea, a quanto pare, gliela aveva suggerita Francesco Pilo Boyl, marchese di Putifigari, e - dice sempre Costa - quando si cantò per la prima volta in Sardegna, al Teatro Civico di Cagliari, «i cantanti vestivano i costumi dei principali paesi dell’Isola».

L’inno fu eseguito per la prima volta nei giardini reali di Torino, davanti al re e alla regina. Il re si complimentò molto con gli autori e assegnò all’Angius una pensione annua di 500 lire. Ma venne presto la prima guerra d’indipendenza, con le sconfitte di Custoza e di Novara e l’abdicazione del re, e nelle ristrettezze del bilancio il povero Angius (che era povero davvero, in crisi con gli stessi Scolopi cui apparteneva) dovette rinunciarvi. Uno spartito manoscritto autentico dell’Inno fu donato dal cavalier Gavino Cugia.

La curiosità di questo documento è costituita dal fatto che reca, sì, le parole dell’inno, ma sono parole (italiane, innanzitutto) completamente diverse da quelle dell’Angius. Non si sa (o perlomeno non so io) in quale momento è stato scritto questo testo «diverso». Si potrebbe pensare ad una prima versione più adatta a quello che si poteva pensare fosse il gusto dei piemontesi, sostituita dalla versione in sardo dopo la «perfetta fusione» di fine 1847, nel cui clima il testo nella lingua dei sardi poteva presumere di avere qualche titolo di cittadinanza.
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