La Nuova Sardegna

ISOLA DEI CASSINTEGRATi Vinyls, un mese all'Asinara

Silvia Sanna
ISOLA DEI CASSINTEGRATi Vinyls, un mese all'Asinara

Il boom mediatico della vertenza Vinyls. I lavoratori vanno avanti a oltranza e continuano a raccontare l'occupazione nel loro diario. La trattativa Ramco-Eni dovrebbe concludersi entro metà aprile

27 marzo 2010
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ASINARA. Istantanea di una mattina di febbraio, un mese fa: gli operai sbarcano all’Asinara, visi tesi, mille dubbi ma voglia di combattere, dall’interno di una cella. Istantanea oggi: facce stanche e abbronzate, sorrisi, un po’ di sano ottimismo. Nessuna illusione, ma anche per un cassintegrato sperare è lecito, se della sua lotta si parla persino in Messico e in Birmania.

Qualche giorno, forse una settimana. Doveva essere una avventura-lampo, quella nella diramazione centrale del carcere dell’Asinara. Invece il reality dei non famosi ha già compiuto un mese, e come in quelli della tivù ci sono le new entry e gli autoeliminati: uno-due giorni a casa dalla famiglia e poi di nuovo lì, con torta di mele e coperte pulite per tutti. Un mese dopo, tra Vinyls ed Eurocoop, gli operai in cella sono ancora una quindicina. Volti storici e facce nuove vanno e vengono per garantire il presidio, orecchie sempre tese a captare i segnali che arrivano dal mondo.

Grazie anche a un attivissimo ministro degli Esteri inviato nei salotti televisi di mezza Italia. La trattativa tra Eni e Ramco dovrebbe chiudersi entro la metà d’aprile, la Vinyls sembra destinata a finire in mano agli arabi. Manca poco all’alba, in teoria. Ma all’Asinara nessuno fa festa, qui si respira la diffidenza tipica di chi ha preso batoste: «Vogliamo sentire gli impianti ronzare - dicono gli operai -, leveremo le tende solo quando ripartiranno le produzioni».

Nel frattempo gli ex non famosi si godono il successo, la popolarità esplosa in questi 30 giorni di semilibertà. La vertenza Vinyls è rimbalzata veloce dalla torre aragonese all’altro capo del mondo. Dalle croci piantate sul prato verde di Porto Torres alle tv e ai giornali nazionali, ai quasi 80mila sostenitori su Facebook, alle telecamere che si arrampicano curiose nelle curve da Cala Reale per spiare la vita quotidiana dei reclusi.

La solidarietà viaggia in parallelo. Ed è quella che si vede nelle buste zeppe di provviste che sbarcano ogni mattina dal traghetto «Sara D», come nella connessione Adsl, regalata da una ditta svelta a capire che l’isolamento, là dove anche i telefoni cellulari squillano a singhiozzo, andava combattuto in fretta. C’è poi la solidarietà dei gesti simbolici: come la Coppa Italia, trofeo vinto dal Portotorres calcio neo promosso in serie D e ceduto in custodia ai cassintegrati insieme al pallone e alla maglietta con il cuore e gli autografi dei calciatori. Resteranno all’Asinara sino a quando gli operai non rimetteranno piede in fabbrica, questa volta sì, per sempre.

«Solo allora - dice il presidente del Portotorres Enrico Piras - ci riporterete la coppa». Pietro il tiranno, quello che alle 6 del mattino butta giù dal sacco a pelo i compagni, quando fuori fa ancora buio e l’aria è fredda, non leva mai gli occhiali perchè un vero capo non può esibire l’emozione. Dice che è bello essere riusciti «senza violenza, senza spaccare neppure il vetro di una finestra, a toccare il cuore della gente e forse a smuovere le coscienze di chi, poi, ha il potere di decidere». Pietro Marongiu è il più anziano del gruppo: ha 57 anni, tra poco smetterà di timbrare il cartellino. Sta lì per difendere un principio e sostenere gli altri, i colleghi più giovani che a 40 anni non possono reinventarsi un lavoro. E per i baby operai assunti poco più di due anni fa, quando il Petrolchimico aveva ancora voglia di crescere.

Come Claudio Delogu, 23 anni e occhi azzurri come il cielo. O Giuseppe Canu che di anni ne ha 25 e della storia della chimica sa tutto perchè l’ha studiata sui libri. Dopo pranzo, dopo avere mangiato la carne cucinata nella mensa di Fiumesanto (altri operai), Claudio e Giuseppe spiegano che fino a poco tempo fa erano convinti di avere fatto Bingo: «Un lavoro sicuro, stipendio puntuale e una certezza: la qualità della produzione. Perchè qui con il Pvc siamo una forza. Il mercato c’è, abbiamo macchinari che tutti ci invidiano. Lo dimostra il fatto che quando noi ci siamo fermati, le produzioni si sono spostate in Germania». Una storia già vista da Quirico Desole, 54 anni, sposato, due figlie, cassintegrato della Eurocoop, sorte legata a doppio filo con quelle della Vinyls.

«Ho iniziato nel 1976 - racconta - ho vissuto la fase del boom, quando il Petrolchimico dava lavoro a 15mila operai. E sono stato testimone del declino, che inizia piano, con la chiusura di un impianto, poi un altro e un altro ancora. Ho visto vendere alla Cina la migliore fibra acrilica in Europa. Sperimentata e prodotta qui, poi svenduta». E in questo scenario non bastano per rasserenare gli animi le parole dei pensionati, quelli che nell’area industriale hanno lavorato per una vita e oggi dicono: «Il Petrolchimico non chiuderà mai».

Se lo sente ripetere ogni giorno Giuliano Chessa, 33 anni, sposato, una bimba piccola e una strana coincidenza: abita in un palazzo a Porto Torres popolato dal primo all’ultimo piano da vecchi inquilini della zona industriale. C’è anche Gianmario Sanna, 31 anni, di Siligo, sposato con Mariella, precaria, una bambina di 4 anni. Dice che «la protesta è stata utile, perchè l’attenzione dei media non lascia indifferenti. Ma staremo attenti a non cadere nei giochetti della politica, nelle promesse elettorali». Lo diranno al governatore Cappellacci e alla giunta regionale, attesi martedì sull’isola: nessuna «caramellina», si va via da qui solo per infilarsi di nuovo la tuta blu.
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