La Nuova Sardegna

«Criminalità mafiosa in Ogliastra»

Antonello Sechi
Domenico Fiordalisi
Domenico Fiordalisi

Il procuratore: intere aree sotto il controllo militare dei delinquenti

02 aprile 2009
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LANUSEI. Domenico Fiordalisi guarda dalla grande finestra del suo ufficio. Sullo sfondo, sotto il cielo grigio dell’Ogliastra, c’è Arzana e si capisce che dopo Ilbono e Villagrande altri paesi danno da pensare al procuratore della Repubblica di Lanusei. È in Sardegna da otto mesi e il suo lavoro ha lasciato il segno. Il segno lo lascia anche ciò che dice: «Qui ci sono aree sotto il controllo militare criminale».

 «Qui - chiarisce il procuratore capo di Lanusei - ci sono zone del territorio che subiscono un controllo criminale analogo a quello di “famiglie” di tipo mafioso come quelle di aree geografiche pugliesi, calabresi e siciliane». Ma questo, aggiunge lasciando un altro segno, gli investigatori sardi tardano a capirlo. Anche se proprio in Ogliastra c’è stata la prima condanna per associazione mafiosa. Quella di Maria Ausilia Piroddi.
 
Domenico Fiordalisi, 46 anni, originario di Cosenza, guida la procura della Repubblica di Lanusei dalla scorsa estate. Da queste parti, da tempo non erano abituati a vedere un pubblico ministero così attivo. Perciò gli scrivono: per dirgli di andare avanti o per minacciarlo. Le due facce dell’Ogliastra. Il benvenuto glielo hanno dato subito su quella che le forze dell’ordine chiamano la «lavagna», la parete di cemento di un cavalcavia, a Villagrande, dove i malavitosi lanciano le loro minacce in formato spray. Aveva appena firmato il fermo di quattro persone, che poi hanno patteggiato la pena.

 Poi ha messo dietro le sbarre la banda dell’usura, fatto perquisire lo studio di un architetto e una società di vigilanza dopo che qualcuno aveva crivellato a pallettoni la casa del capo dell’ufficio tecnico di Tortolì, ha fatto assediare Ilbono e arrestare ventuno persone e, da ultimo, ha riaperto il caso dei quattro omicidi di Villagrande, compreso quello eccellente di Rosanna Fiori. E ogni volta, qualcuno ha trovato una «lavagna» su cui minacciare lui e la moglie. La mano dell’autore delle scritte sarebbe sempre la stessa. Tra i sospettati c’è un vigilante.

 Da un po’ di tempo Domenico Fiordalisi vive blindato, la famiglia risiede in una caserma. Ed è paradossale che gli succeda qui, dove ci si immagina una malavita pericolosa ma di piccolo cabotaggio, e non gli sia invece accaduto quando si occupava di ’ndrangheta. Un po’ se ne stupisce. Prendersela con chi gli sta vicino gli sembra una cosa vigliacca.

 «A gennaio dell’anno scorso - riflette - avevamo circondato e chiuso un intero paese, Amantea, in Calabria, arrestando in tutto 50 persone, di cui trenta per associazione mafiosa. Un’operazione come quella di Ilbono. Sì, al tribunale della libertà fui puntato con il dito per un minuto dal “mammasantissima” che mi aggrediva con frasi pronunciate ad alta voce. Un capo di alto livello. Ma in un interrogatorio successivo, alla presenza del suo avvocato mi chiese pubblicamente scusa. Certo, ci sono situazioni di rischio in Calabria, ma nessuno si è mai permesso di minacciare le persone vicine al magistrato. Né ho mai avuto bisogno della scorta».

 E dire che, in quel caso, il boss di Cetraro è finito in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, articolo 416 bis, per l’aiuto dato a un’altra cosca. «Il primo caso in Italia di un boss accusato di concorso esterno ad altra cosca mafiosa alla quale era alleato - ricorda con un pizzico d’orgoglio Fiordalisi -, un’accusa che ha aperto un nuovo fronte di attacco alla mafia, che ha retto al tribunale della libertà e in Cassazione in fase cautelare e che adesso è davanti al Gup».

 A Lanusei, la sicurezza intorno a Fiordalisi è stata rafforzata. Il timore è che si stesse creando una situazione analoga a quella che qualche anno fa riguardò il procuratore Fabrizio Tragnone. Il pm del processo “Tuono” rischiò di essere bersaglio di un attentato. La domanda è perché questo succede in Ogliastra. Fiordalisi si limita a poche parole: «Criminali agguerriti e scarsa presenza dello Stato. Quando la criminalità si abituerà alla presenza più forte dello Stato allora il rapporto diventerà più fisiologico». Non va oltre.

 Per capire che cosa vuol dire, bisogna guardarsi il documento votato dalla giunta esecutiva dell’Anm, il governo dell’Associazione nazionale magistrati, il 26 gennaio. «Siamo e saremo sempre vicini - si legge - ai colleghi impegnati per garantire la legalità in un territorio difficile, caratterizzato da livelli elevati di criminalità e nel quale nel passato troppo spesso la risposta delle istituzioni, anche giudiziarie, non è stata efficiente come avrebbe dovuto». Detta in parole povere: ci sono stati periodi, in Ogliastra, in cui la giustizia non ha fatto abbastanza e questo ha convinto la criminalità locale di avere campo libero.

 Domenico Fiordalisi guarda ancora dalla sua grande finestra e riflette sulla pericolosità della malavita ogliastrina. Il punto di partenza è la sentenza del processo “Tuono”, con la condanna di Maria Ausilia Piroddi per associazione mafiosa. «È un fatto obiettivo - dice il procuratore - riconosciuto dalla Corte d’appello». Ma, aggiunge, non c’è ancora una consapevolezza diffusa. Per lui, il teorema che i sardi sono individualisti anche quando sono criminali non corrisponde alla realtà. «Da più parti - spiega - viene segnalata una particolare difficoltà della magistratura sarda a riconoscere in concreto gli elementi costitutivi dei reati associativi, una diversa valutazione rispetto ad altre giurisprudenze di merito. È diffusa tra gli inquirenti, soprattutto tra gli appartenenti alla polizia giudiziaria, la convinzione su singole realtà criminali circa l’assenza di strutture stabili e organizzate con programmi delittuosi determinati.
Dopo otto mesi in Sardegna e in Ogliastra ritengo che sia un presupposto da rivedere».
 
Il procuratore capo di Lanusei non la manda a dire. Anzi, è esplicito. «La criminalità - spiega Domenico Fiordalisi - ha in determinate aree un controllo militare del territorio analogo a quello tenuto da “famiglie” sicuramente mafiose in realtà dove è stato riconosciuta la rilevanza mafiosa di questo controllo. Ci sono zone circoscritte, in Ogliastra, dove non si può fare nulla se certi gruppi di delinquenti non vogliono. È necessario che le forze dell’ordine approfondiscano questi aspetti». Fiordalisi ha le idee chiare. «Nel triangolo tra Talana, Villagrande e Arzana - spiega - c’è sicuramente un controllo militare della criminalità. A Ilbono, invece, alcuni delitti vengono commessi dalla criminalità e approvati da una parte della popolazione. L’omertà, in questo caso, è in parte dovuta a paura e in parte all’approvazione. Sì, noto questa particolarità di alcuni delitti intorno ai quali si creano giustificazioni». Il capo della Procura di Lanusei non entra nel merito di indagini in corso. Ma tutto fa pensare all’omicidio di Franco Ibba, l’ex bancario «giustiziato» per aver ucciso un rapinatore.

 Poi c’è Arzana. Fiordalisi la vede sullo sfondo, contro la montagna che trasforma le sue finestre in uno spettacolare sguardo sulla bellezza di questo territorio. «La criminalità arzanese - riflette - ha esercitato la sua autorità sull’interno dell’Ogliastra. Una preminenza che non è stata sufficientemente indagata. Come non c’è stata adeguata investigazione sul fatto che criminali ogliastrini siano stati indicati come appartenenti a grosse organizzazioni criminali continentali e sarde». Infine, l’Ogliastra costiera dove tra Barisardo e Tortolì le sentenze hanno riconosciuto l’associazione mafiosa, il primo caso riconociuto in Sardegna.

 Domenico Fiordalisi, entro pochi giorni, si ritroverà da solo. L’altro magistrato della Procura di Lanusei ha ottenuto il trasferimento. Ma dice di non sentirsi in trincea. «Ho ottimi collaboratori e il pieno sostegno della Procura generale - spiega - Questa è una terra che ha bisogno di risposte concrete e di giustizia. Ci si sente più motivati quando si sente tanta gente che chiede che il lavoro non si fermi».
 A due lettere, il procuratore capo di Lanusei, tiene molto. Una è quella che gli ha scritto una donna di Ilbono, subito dopo la maxi retata: il paese degli onesti è con lei. L’altra, anche questa poco formale, è del vescovo Antioco Piseddu: vada avanti a riportare serenità. Le lettere sono poggiate su un mobile basso, proprio sotto la grande finestra che guarda sulla bellissima Ogliastra.
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