La Nuova Sardegna

Le indecifrabili trame nascoste del paese

Agostino Murgia
Le indecifrabili trame nascoste del paese

Negli ultimi vent’anni si sono verificati 18 omicidi e sette tentati omicidi. La disamistade appartiene al passato. Analogie con la morte di don Muntoni

30 dicembre 2007
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ORGOSOLO. Peppino Marotto come don Graziano Muntoni, assassinato alla vigilia di Natale del 1998: entrambi vittime eccellenti di una ciclica ondata criminale, hanno trovato la morte quasi nello stesso punto, vicino a una chiesa addobbata per le festività. L’omicidio del sacerdote, oltre allo sgomento, aveva lasciato - sia nel paese sia negli investigatori - una serie di punti interrogativi che, a distanza di nove anni, restano tali. E che rischiano di riversarsi, con lo stesso destino, anche sull’ultimo delitto. Perché riuscire a scoprire la matrice di un omicidio di stampo orgolese - a parte qualche rara eccezione - si è sempre dimostrata impresa assai ardua: non solo per l’ambiente, ma anche per la particolare complessità delle trame nascoste che si dipanano nel paese alle falde del Supramonte. Difficile anche riuscire a inquadrare ogni singolo delitto e gli eventuali collegamenti tra l’uno e l’altro.

 Perché, a differenza di altri centri della Barbagia dove sono in corso faide o micro-faide, Orgosolo (che nei primi anni del Novecento aveva contato decine di morti per una delle più terribili “disamistades” dell’isola) da anni sembra essere immune da fenomeni di questo tipo.

 Eppure solo negli ultimi vent’anni ci sono stati 18 omicidi e 7 tentati omicidi.

 Alcuni, perché d’impeto, sono stati scoperti: gli altri sono invece rimasti avvolti nel mistero, sia che siano stati commessi nelle campagne, con le classiche tecniche del delitto barbaricino, sia nelle vie del paese. Difficile riuscire a decifrare eventuali punti di contatto, proprio per l’assenza dallo scenario criminale di una faida. Contesto anche questo assai complesso, ma che a volte permette di inquadrare il delitto in un certo ambito, seppur generico. A Orgosolo questo non è possibile, e si deve procedere a tentoni.

 Negli ultimi nove anni - pur tra un proliferare di tentati omicidi, rapine e attentati - nel centro barbaricino sono stati commessi due delitti, presto dimenticati se non dai familiari e dagli investigatori, che mantengono i fascicoli giudiziari sempre aperti, in attesa di quasi impossibili fatti nuovi.

 Per trovare un fatto eclatante bisogna riandare all’alba del 24 dicembre del 1998, quando in un viottolo vicino alla chiesa venne assassinato don Graziano Muntoni, un sacerdote benvoluto e apparentemente senza nemici. Furono seguite mille piste, ma la mancanza di un movente e la particolarità dell’ambiente resero l’impresa impossibile. «Il parroco - disse dopo due anni un esperto investigatore - è rimasto vittima di un certo tipo di società. In questi casi è difficile fare le indagini perché o trovi l’assassino immediatamente o non lo trovi più, perché nessuno ti può aiutare, nessuno ha visto niente: le modalità, il posto e l’ora fanno il resto».

 Cinque omicidi e tre tentati si verificarono tra il 1998 e il 1993, anno nel quale le cronache dovettere registrare una strage: Vanni Ruggiu, sua moglie Caterina Podda e il loro figlio Piercosimo vennero falciati da oltre 15 fucilate mentre si recavano in un loro podere nelle campagne di “Sorasi”, una zona collinare tra Orgosolo e Oliena: la dinamica del delitto rese subito evidente che il gruppo di fuoco era mosso da una furia belluina e da una determinazione omicida raramente registrate nel pur tragico panorama criminale barbaricino.

 Anche Vanni Ruggiu, sassarese di nascita e orgolese di adozione, nel centro barbaricino e in quelli limitrofi era diventato un vero e proprio personaggio. Si pensò che il giovane Ruggiu, assolto da alcuni pesanti capi di imputazione, fosse stato giudicato colpevole da ben altro tribunale, capace di ferocissime condanne.

 Ma questo non spiegava il coinvolgimento dei suoi genitori. Furono fatte diverse altre ipotesi, ma nessuna trovò concretezza. In ogni caso non si trattava di faida: la strage fece trasparire però un cambiamento nelle cadenze criminali della Barbagia, dove il tempo della vendetta è diventato sempre più breve: occorre chiudere i conti subito e in modo definitivo, per impedire una possibile risposta.

 Un concetto che riporta all’omicidio Marotto e a una sua collocazione temporale: una vendetta classica, maturata in anni lontani e concretizzata oggi, oppure una risposta quasi immediata a un torto - vero o presunto - subìto in tempi recenti?

 Ogni volta che a Orgosolo scorre il sangue riemergono vecchi episodi, crimini commessi in anni bui, quando sul paese aleggiava una cappa di terrore. I più vicini, gli anni Cinquanta, furono quelli che videro protagonisti il bandito Pasquale Tandeddu e la sua banda. Tandeddu esordì nella “compagine” comandata da un altro celebre fuorilegge, Giovanni Battista Liandru, del quale nel 1950, dopo la cattura del capo, prese il posto. Ben presto Tandeddu, convinto che nel paese ci fosse gente che parlava troppo, decise di affiggere sulla porta della chiesa una lista di venticinque nomi, intitolata “Elenco delle spie”, tutte persone da eliminare.

 Nel giro di breve tempo, il furilegge instaurò una vera e propria strategia del terrore, arrivando ad ammazzare anche il fratello Pietro, sospettato di tradimento. Sotto i suoi colpi cadde anche Maddalena Soro, moglie dell’ex capobanda Giovanni Battista Liandru.

 Poi una lunga sequela di omicidi e sanguinose rapine stradali, con l’uccisione di carabinieri e portavalori, ricatti ed estorsioni di ogni tipo. Nel 1954 Pasquale Tandeddu venne trovato ucciso in località Sas Molas. Accanto al cadavere c’era un vero e proprio arsenale. L’omicidio venne archiviato come opera di ignoti, ma i più esperti dissero che a uccidere il bandito era stato un intero paese, ormai stanco di subìre le sue angherie.

 Orgosolo conobbe invece l’epopea della faida nei primi anni del 1900: una guerra tra famiglie alla quale venne dato il nome di “disamistade”, proprio per le sue proporzioni e la particolare collocazione nel tessuto sociale. L’odio scoppiò nel 1903 per la divisione dell’eredità di uno dei più ricchi proprietari del paese: tutto finì dopo qualche anno con una “pace” ufficiale, ma nel frattempo sul terreno erano rimaste decine di vittime, tra le quali anche dei bambini.

 Ora quel tipo di odio sembra definitivamente superato, ma ciclicamente cadono alcuni dei personaggi più noti del paese: episodi che certo non generano il terrore d’altri tempi, ma che innescano dubbi e interrogativi che rischiano di restare per sempre senza risposte. Un rischio che corrono anche le indagini sull’omicidio di Peppino Marotto, al quale qualcuno non ha voluto far vedere il 2008.
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