La Nuova Sardegna

Aveva 82 anni, freddato con sei colpi di pistola

Hanno fermato il cuore di un poeta

Hanno fermato il cuore di un poeta

È stato ammazzato con sei colpi di pistola Peppino Marotto mentre stava per entrare in un’edicola in Corso Repubblica. L’assassino è poi fuggito a piedi negli stretti viottoli del centro del paese. A poche decine di metri nel ’98 era stato ucciso il mite don Graziano

30 dicembre 2007
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ORGOSOLO. Il corpo del vecchio sindacalista è disteso sull’asfalto. A pochi passi dall’ingresso dell’edicola Mele, davanti alla chiesa parrocchiale di San Salvatore, dove anche la gigantografia della beata Antonia Mesina sembra più triste del solito. Peppino Marotto è lì. Sono le undici del mattino e il Corso Repubblica si è fatto zitto di un silenzio irreale. Tra due giorni è San Silvestro ma non se lo ricorda nessuno; soltanto, sopra il corpo di Marotto, dondola al vento una luminaria con Babbo Natale, una renna e la scritta: Auguri. Peppino Marotto, ieri mattina alle 10.30, aveva un appuntamento e non lo sapeva.

Non lo sapeva, a 82 anni, il sindacalista storico della Camera del Lavoro, il bracciante, l’operaio, il pastore, poi l’emigrato e poi ancora, e sempre, il comunista; il poeta e il padre e il nonno, Peppino Marotto che ogni mattina andava a prendersi l’Unità e i giornali sardi, sempre lì, nell’edicola del Corso, una scalinata sotto casa sua che è al numero 2 di via Municipio. Ieri mattina aveva un appuntamento con il suo assassino.

Lo ha aspettato e nessuno lo ha visto, ma i cerchietti disegnati dalla polizia scientifica attorno ai bossoli tracciano il percorso compiuto dall’uomo che ieri mattina ha ucciso Marotto, gettando la comunità orgolese e il mondo sindacale, politico, poetico e culturale della Sardegna in uno stato di choc. Sei colpi di pistola calibro 7,65. Quattro alla schiena, due alla testa. Un avvicinamento progressivo, spari da distanza ravvicinatissima alla schiena e, alla testa, praticamente a bruciapelo. E poi la fuga, forse per la stessa via Satta, la strada che costeggia la chiesa di San Salvatore, dove nove anni fa - allora si era alla vigilia di Natale - era stato ucciso il vice parroco di Orgosolo, don Graziano Muntoni.

Peppino Marotto è finito disteso davanti all’ingresso dell’edicola. All’interno c’erano la titolare e un cliente: ma non hanno visto nulla. E nulla ha visto il proprietario del negozio di artigianato che c’è accanto all’edicola, nulla tutti quelli che passavano, indaffarati, chi a fare commissioni, chi compere, i ragazzetti a zonzo per le vacanze di fine anno. Nulla, comunque, di anormale: l’assassino è passato inosservato. Chi, nei bar e nei negozi vicini, ha sentito gli spari, ha pensato ai petardi: esercizi di botti di Capodanno. Solo un uomo anziano, passando in quel momento, ha visto il vecchio Marotto per terra e ha pensato a un infarto. Ha cercato di soccorrerlo, poi ha capito. I fori, il sangue. Qualcuno ha avvisato il 118. Sono arrivati, da Orgosolo, e poi anche da Nuoro. Hanno anche cercato di rianimarlo, gli hanno aperto la camicia per provare il massaggio cardiaco. Non c’è stato nulla da fare.

Ed è rimasto così, Peppino Marotto, una vecchia quercia abbattuta. Così, con il petto esposto al gelo di dicembre e il corpo offerto agli sguardi degli orgolesi attoniti e ai rilievi di polizia e carabinieri, arrivati dal commissariato, dalla stazione di Orgosolo, ma anche da Nuoro. Il sostituto procuratore della Repubblica Daniele Rosa è stato tra i primi, mentre qualcuno aveva già avvisato i familiari del sindacalista. «Galu in cuhe este imbolau babbu» (è ancora buttato lì babbo), piangeva Lena, l’unica figlia di Peppino Marotto e della moglie Michela Manca, 88 anni compiuti tre giorni fa. Dalla casa di via Municipio, il dolore della moglie, nel lamento «O deu, su coru meu».

Sembrava essere tornati indietro di nove anni. All’alba del 24 dicembre, quando un assassino regolò imperscrutabili conti con don Graziano Muntoni, il vice parroco che stava uscendo per dire la prima messa. Non si sa chi sia stato a uccidere quel sacerdote semplice, il parroco della normalità che, quando era insegnante, comprava i libri agli alunni che non se lo potevano permettere e per sè non teneva nulla.

I nastri rossi e bianchi, il lavoro di polizia e carabinieri e gli occhi umidi degli orgolesi. Questa parrocchia di San Salvatore è al centro di una violenza omicidiaria difficile da decifrare. Chi ha ucciso Peppino Marotto? Nel cuore del paese, alle 10.30 del mattino, con una spavalderia agghiacciante? E perchè? Nel linguaggio scarno della polizia, nel comunicare l’omicidio, si dice che «alle ore 10.30 in Corso Repubblica è stato ucciso con sei colpi di pistola Marotto Giuseppe, classe 1925, pluripregiudicato». I codici dei burocrati del crimine non hanno pietà nè rispetto per un vecchio inerme ucciso, si appigliano al passato del giovane Marotto, a episodi di una giovinezza anche movimentata dove la vicinanza al bandito Tandeddu gli costò il confino.

Difficile, il lavoro degli inquirenti. Difficilissimo ieri, perchè andare a cercare i nemici di un uomo che, attraverso gli anni, è diventato un simbolo del sindacato, della lotta per la difesa dei diritti dei lavoratori, della giustizia sociale, non era comodo nè politically correct. Ma qualcuno che aveva deciso di lavare nel sangue chissà quale sgarbo, o presunta offesa, evidentemente c’era. Pensare che l’assassino sia venuto dal passato non è comunque da escludere. Peppino Marotto a 82 anni era, se possibile, ancora più attivo nel sindacato, soprattutto nello Spi, i pensionati della Cgil. «Giovedì, tutto il giorno, siamo stati a Gavoi perchè c’era il direttivo provinciale», racconta Bore Salis, che dello Spi Cigl è il segretario.

«Tutto il giorno a parlare, era molto colpito dalla morte di Benazir Bhutto, abbiamo discusso del discorso di Prodi e poi di Soru, lui era informatissimo». Nella sede del sindacato, la nuova sede della Camera del Lavoro in via Piero della Francesca, ci andava ogni giorno. E ogni giorno si occupava di pratiche sopratutto per il patronato. E ascoltava chi aveva problemi, di lavoro in particolare, è chiaro. Non è un caso che tra le ipotesi degli inquirenti ci sia anche qualche possibile fraintendimento di chi magari si è rivolto a Marotto. In tempi di disoccupazione e fame, chiedere lavoro a chi, con tutta la sua buona volontà, non è un ufficio di collocamento ma un sindacalista, può far prendere anche decisioni pericolose.

E c’è anche un’altra pista, quella che conduce al ruolo di forte autorevolezza riconosciuto a Marotto nella comunità. Una sorta di “saggio”, una figura prima comune nei paesi della Sardegna, un uomo al di sopra delle parti al quale si chiedeva di intervenire per le controversie più disparate. Chi lo sa, sono ipotesi, una vale l’altra nel buio di un delitto inaspettato. Sconcertante.

Peppino Marotto non aveva paura di nulla. Viveva tranquillo, ogni giorno gli stessi gesti. La capatina all’edicola, e poi in sede alla Cgil. Per sbrigare questa o quella pratica. «Oggi doveva andare a prendere agende e calendari per regalarli», raccontava Bore Muravera, ex sindaco, sindacalista, amico fraterno di Peppino Marotto che con lui era andato a Gavoi, avantieri.

In tarda mattinata, il corpo del sindacalista è stato portato all’ospedale di Nuoro, dove domani sarà eseguita l’autopsia. Poi Peppino Marotto tornerà a Orgosolo. La camera ardente sarà allestita alla Cgil. Era la sua seconda casa. Il sindacalista poeta avrebbe messo in rima anche questa tragedia.
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