La Nuova Sardegna

RICERCA SCIENTIFICA

Robotica, il futuro sta per entrare in tutte le case

Fabio Canessa

Intervista con Liam Bannon, uno dei guru delle nuove tecnologie che sarà il supervisore dei progetti portati avanti dagli studenti dell’Università di Sassari. Uno dei maggiori esperti di interazione tra uomo e macchina

04 ottobre 2007
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Carrelli della spesa «intelligenti» capaci di tener il conto degli acquisti e aiutare nella ricerca dei prodotti per una specifica ricetta; tappezzerie-display che mostrano testi e immagini. Il futuro ipotizzato dalla letteratura di fantascienza del passato è già arrivato e oggetti immaginati da Philip K. Dick sono oggi realtà. Un futuro che si può toccare con mano nelle sperimentazioni tecnologiche che portano il digitale nella vita quotidiana. Far sì che queste innovazioni risultino facili da usare, di immediata applicazione senza dover passare dalla lettura di indecifrabili manuali d’istruzione, è uno degli obiettivi dell’interaction design. Una disciplina, nata alla metà degli anni Ottanta, che si occupa dell’interazione uomo-macchina.

Uno dei suoi padri fondatori, l’irlandese Liam Bannon, che insegna all’Università di Limerick, sarà il supervisore dei progetti portati avanti dagli studenti dei nuovi corsi di interazione uomo-macchina e di progettazione di ambienti tecnologici per la comunicazione dell’Università di Sassari tenuti da Patrizia Marti, tra le prime in Italia, a Siena, a occuparsi di questa materia. Domani mattina Bannon terrà inoltre una lezione aperta nell’aula rossa della Facoltà di Scienze Politiche alla quale sono stati invitati rappresentanti di Camera di commercio e Confcommercio, per ideare insieme nuovi servizi che potranno svilupparsi in città (per esempio vetrine dei negozi interattive con il sistema touch screen). Il coinvolgimento nei progetti degli utenti è infatti uno dei principi fondamentali dell’interaction design.

 «Per progettare qualcosa che aiuti le persone - spiega Bannon - occorre sapere prima di tutto chi sono i destinatari a cui ci rivolgiamo e quale prodotto interattivo possiamo offrire loro. Questi bisogni costituiscono la base dei requisiti dell’oggetto e il punto di partenza per la sua progettazione e sviluppo. Se i requisiti sono sbagliati il prodotto rischia di venir ignorato o addirittura disprezzato. La raccolta dati costituisce quindi una parte importante dell’attività di definizione dei requisiti. Ci sono vari modi per raccoglierli: questionari, interviste, osservazione sul campo. Ma si può coinvolgere anche direttamente le persone facendole entrare nel team di progettazione. Nei paesi della Scandinavia accade questo. Ogni innovazione, per esempio in una fabbrica, viene creata e introdotta con la partecipazione dei lavoratori. Una rappresentanza sindacale è coinvolta per l’intera durata del processo. In questo modo gli sviluppatori riescono a raggiungere una migliore comprensione dei bisogni degli utenti, arrivando a realizzare un prodotto più appropriato e maggiormente usabile».

 Usabilità è una delle parole chiavi nel processo del design interattivo. Indica in pratica la facilità di apprendimento e la soddisfazione con cui l’interazione uomo-macchina si compie. L’utilizzo deve essere chiaro ed intuitivo. «Per questo - dice Bannon - l’approccio deve essere necessariamente centrato sull’utente».

 Insiste molto sugli aspetti umani lo studioso irlandese che nell’interaction design vede soprattutto il progetto di tutto quello che mette in relazione le persone attraverso i prodotti e servizi tecnologici entrati a far parte (o che entreranno in futuro) della vita quotidiana della gente. «Grazie al computer - sottolinea Bannon - si è passati, nell’interazione uomo-macchina, da un livello fisico a un livello cognitivo. Quando si battono le dita sulla tastiera si pensa all’operazione mentale, che con il web è diventata principalmente collegamento tra persone, scambio d’informazioni. La tecnologia è così un strumento che diventa invisibile, al quale non si pensa».

 Con l’uso della tecnologia nella gestione dell’informazione questa è diventata la più grande risorsa scambiata sul pianeta, tanto che si parla di società dell’informazione. Ma l’information technology mentre da un lato spinge verso la globalizzazione (basta pensare alle notizie e alle immagini sugli scontri in Birmania arrivate grazie al web), dall’altro produce nuove disuguaglianze tra individui (da qui l’importanza della usabilità) e tra culture (società occidentali e paesi poveri. «L’aspetto politico è senz’altro importante - dice Bannon - ma non è il mio ramo, il centro del mio lavoro. Certo vorrei che tutti si servissero delle tecnologie, ma non bisogna pensare al computer come una scatola magica. Ricordo venticinque anni fa quando si diceva che in ogni scuola se ne sarebbe portato uno. In molti casi i computer sono arrivati, ma sono rimasti negli scatoloni per mancanza di insegnanti preparati».

 Ora la tecnologia è entrata a far parte della vita di tutti come avevano profetizzato scrittori e registi di fantascienza negli anni Cinquanta e Sessanta. «Cinema, letteratura e la comunicazione in generale - conclude Bannon - sono spesso fonte d’ispirazione. Varie discipline interagiscono e s’influenzano a vicenda». E se allora il futuro poteva assumere connotati preoccupanti, per via anche della guerra fredda, oggi può essere anticipato. Pre-vissuto piacevolmente nella consapevolezza che la tecnologia può migliorare molti aspetti della vita, senza paura che la macchina si ribelli all’uomo come il computer Hal 9000 in «2001: Odissea nello spazio».
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