La Nuova Sardegna

Oristano

Simbolo della lotta alle ingiustizie

Simbolo della lotta alle ingiustizie

Riscoperta la figura del medico partigiano oristanese Flavio Busonera

25 aprile 2017
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ORISTANO. C’è voluto molto tempo perchè la figura di Flavio Busonera, partigiano oristanese, venisse alla luce. Lo scorso anno in occasione del 25 aprile gli è stato dedicato il Centro giovani di Sa Rodia, soddisfacendo l’insistita richiesta di Beppe Meloni, custode della memoria di molti personaggi illustri oristanesi. Quest’anno è uscito il libro di Giampiero Enna, ex-dirigente scolastico, “Un’eredità da riconquistare, Flavio Busonera, medico oristanese, partigiano, martire della Resistenza”, che ne racconta la storia. Venerdì scorso il libro, edito dalla Epd’o, è stato presentato al Centro servizi culturali di via Carpaccio con il direttore del Centro Marcello Marras, Beppe Meloni, Silvana Cintorino e Carla Cossu, presidente dell’Anpi di Oristano.

Il volume è il frutto di una lunga ricerca nelle sedi dell’Anpi e soprattutto dell’incontro con Maria Teresa e Francesco, i figli del partigiano ucciso dai fascisti a Padova il 17 agosto 1944. Nato ad Oristano il 28 luglio 1894, da Giovannangela Crabai e da Francesco, fabbricante di gazzose, Flavio Busonera era il primogenito di cinque figli. Dopo la frequenza del ginnasio oristanese, prosegue gli studi a Cagliari, dove, giovane tenente dell’esercito, s’iscrive alla Facoltà di Medicina. In quegli anni conosce la sua futura moglie Maria Borghesan, veneta. S’iscrive al Partito comunista nel 1921, anno in cui si laurea ed inizia il suo lavoro nella condotta di Sarroch. Viene condannato dal Tribunale fascista nel 1922 ed è costretto a lasciare l’isola per la persecuzione del regime. Si trasferisce in Friuli, in una terra colpita dalla miseria in cui viene presto riconosciuto come il medico dei poveri.

Durante la Resistenza ha un ruolo nella raccolta di armi, equipaggiamenti e viveri per i partigiani della zona di Caverzere. A seguito dell’uccisione del colonnello dell’esercito repubblichino di Salò, Bartolomeo Fronteddu di Dorgali, attribuito agli antifascisti, è vittima della rappresaglia dei fascisti. Cade in una trappola tesa da alcuni squadristi, viene arrestato ed imprigionato a Padova. Dal carcere scrive una lettera alla moglie, improntata alla fiducia nella sua prossima scarcerazione. Scatta però il decreto d'impiccagione del regime di Salò che coinvolge anche altri compagni. Al carnefice tremante, davanti alla forca dice: “Io non tremo”. Pochi giorni dopo l’esecuzione si viene a sapere che l’uccisione di Fronteddu era stata compiuta dal fratello della ragazza che il colonnello sardo aveva messo incinta e non voleva sposare. Una questione privata, insomma.

Il libro è narrato come un viaggio della memoria in cui il dialogo con la figlia dell'autore sulla vicenda di Flavio Busonera e sull’antifascismo assume un valore educativo. (a.pi.)

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