La Nuova Sardegna

Oristano

Una festa paesana si trasforma in vera integrazione

Zerfaliu, sagra degli agrumi con i migranti appena sbarcati E con la Proloco i giovani africani protagonisti in cucina

26 marzo 2017
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ZERFALIU. Anche una festa paesana come la sagra degli agrumi, in programma domenica prossima nel paese, può rappresentare un’occasione da non perdere se serve a favorire il processo di integrazione dei migranti, arrivati in Sardegna per sfuggire a guerre e fame, con le comunità che li ospitano.

Un processo comunque lungo e complesso, che ha come primo obiettivo la conoscenza reciproca: forse l’unico sistema davvero efficace per abbattere il muro della diffidenza che si crea in presenza di culture e modi di vivere molto distanti tra loro.

I sedici migranti, ospitati in una struttura di prima accoglienza appena fuori dal paese da maggio 2016 (altri 5 degli 84 destinati alla provincia di Oristano, giunti a Cagliari con la Siem Pilot, dovevano arrivare nella giornata di ieri), assistiti dai mediatori culturali, dagli psicologi e dagli insegnanti inviati dalla scuola statale (nello specifico i CPIA, Centro Provinciale per l’Istruzione degli Adulti), sono stati coinvolti nell’organizzazione della Sagra.

E loro non si sono tirati indietro. Anzi, ieri, con i volontari della Proloco, hanno preparato un piatto della cucina africana a base di riso, pollo e verdure che poi è consumato tutti insieme.

«Anche un’attività semplice, come la preparazione di un piatto tipico – dice uno degli operatori culturali che lavorano con i migranti – può servire a conoscersi meglio e ad accettarsi. Spesso siamo noi stessi a costruire barriere mentali come forma di difesa nei confronti della diversità. Questi ragazzi hanno grandi potenzialità, sta a tutti noi saperle prendere nella giusta considerazione».

Ognuno dei giovani ospitati a Zerfaliu, le cui provenienze sono diverse, ha una storia personale alle spalle, spesso fatta di paura, miseria prevaricazione e violenza. Per accorgersene basta guardarli negli occhi. Non chiedono nulla di particolare alla comunità locale.

«Ci basta un saluto, una stretta di mano, un sorriso, che ci faccia sentire accettati. Nient’altro», dicono Apollo e Ester (18 e 24, anni), fratello e sorella originari della Costa D’Avorio.

«Sono persone come noi, ma sfortunate perché scappano da guerre e povertà».

A dirlo e Tzia Giuanna Maria, 84 anni, che mostra di aver capito perfettamente il significato del concetto di accoglienza.

«Quando penso a questi giovani – spiega l’anziana donna – prego e piango, e penso che se tutti si mettessero nei loro panni, forse sarebbe più facile capire il motivo che li ha spinti a lasciare case e famiglie per venire fin qui». È questa la vera Sardegna, terra di migranti senza tempo.

Piero Marongiu

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