La Nuova Sardegna

Oristano

L’accoglienza con il lavoro, una Rete per l’integrazione

di Michela Cuccu
L’accoglienza con il lavoro, una Rete per l’integrazione

Terra Madre raccoglie tredici aziende dell’Oristanese che ospitano alcune decine di migranti «I nostri ospiti sono tutti coinvolti nelle attività agrituristiche, senza discriminazioni o tensioni»

21 gennaio 2017
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ORISTANO. «Realizzare, con gli immigrati piccole realtà produttive: micro aziende del settore agroalimentare e artigianale. Creando opportunità di reddito, portando i loro prodotti sul mercato con un unico marchio, per fare in modo che questa esperienza, per quanto di emergenza e transitoria possa essere, lasci un segno positivo per tutti». Antonello Comina da anni opera nel complesso mondo del sociale, dando il via, quasi trent'anni fa, attraverso la cooperativa di cui fa parte, Il Seme, ai progetti di agricoltura sociale con iniziative che sono state portate anche all'interno delle strutture carcerarie.

Ora Comina è l'anima di Rete Terra Madre in Sardegna, prima in Italia e unica in Sardegna, ad aver realizzato, nell'Oristanese, un sistema di accoglienza che definisce “senza business”.

Tredici le aziende, da Cabras a Samugheo, passando per Uras e Ula Tirso, che fanno capo alla Rete. In queste strutture, il modo di gestire la cosiddetta prima accoglienza, che riguarda gli immigrati in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato, è stato da subito diametralmente diverso da quello limitato alla sola somministrazione dei pasti, di un posto per dormire e lavarsi e la possibilità di seguire corsi di alfabetizzazione. «All'improvvisazione, spesso unica strada in caso di emergenza, Rete Terra Madre Sardegna vuole contrapporre un sistema strutturato, che nel delicato settore del quale ci occupiamo, l'accoglienza dei migranti, impone competenza ma anche, scambi e condivisione di esperienze. Soprattutto, non si può star da soli – spiega ancora Comina – e noi stessi ci siamo messi in rete perché ci eravamo resi conto che questa era l'unica strada da seguire». In queste strutture, il modo di gestire la cosiddetta prima accoglienza, è stata affrontata in modo diverso. Forse anche favorito dai numeri (l'azienda più affollata ospita una quarantina di persone) e da un approccio senza diffidenze degli abitanti dei paesi dove si trovano i centri di accoglienza, i risultati sono arrivati relativamente presto. «Qui da subito abbiamo puntato sull'integrazione, coinvolgendo i nostri ospiti nelle diverse attività delle aziende agrituristiche», spiega Comina.

«Certo non è stato un gioco – aggiunge Emanuele Flore che nella sua azienda di Samugheo ospita, da tre anni, 30 immigrati – ma poi, quando l'unica alternativa all'ozio diventa il lavoro, sono stati proprio loro, i nostri ospiti a farsi avanti. Oggi c'è chi si prende cura dell'orto, chi accudisce gli animali, altri vengono con me a darmi una mano in vigna. E poi c'è sempre il modo di scambiarsi informazioni ed esperienze: uno dei miei ospiti, ogni tanto, prepara il pane tipico del suo paese. E lo mangiamo tutti». I titolari delle strutture che fanno capo alla Rete, ora vorrebbero proseguire in questo cammino, non semplice ma importante. Qualche giorno fa, incontrando Angela Quaquero, delegato della Presidenza della Giunta regionale alla questione migranti e il consulente per il settore dell'immigrazione Giovanni Maria Fresu, hanno esaminato il nuovo sistema di accoglienza predisposto dal ministero degli Interni che dovrebbe servire a superare l'emergenza, con la creazione di nuove strutture Sprar, con un numero limitato di ospiti, ma meglio distribuiti sul territorio.

«La realizzazione delle piccole aziende agricole sociali può rientrare in questo nuovo programma ministeriale – spiega Comina – qui si tratta infatti di dare risposte alla seconda fase dell'accoglienza - riuscire ad integrare i migranti, dando l'opportunità di renderli indipendenti».

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