La Nuova Sardegna

Oristano

L'ADDIO

Oristano, l'ultimo saluto a Luca con i palleggi e l'urlo di squadra

Enrico Carta
I compagni di squadra palleggiano di fronte alla bara di Luca Porru a Sa Rodia
I compagni di squadra palleggiano di fronte alla bara di Luca Porru a Sa Rodia

Al palazzetto di Sa Rodia l'omaggio dei compagni al ragazzo morto giovedì pomeriggio mentre giocava a basket

19 giugno 2016
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ORISTANO. Prima era un rumore isolato. Un pallone da solo che rimbalzava sul campo. «Tum, tum, tum». Poi sembrava pioggia, temporale, alla fine una tempesta, una tormenta di palloni. Tutti assieme, senza ritmo, sbattevano sul campo del palazzetto di Sa Rodia.

Sempre più forte per far arrivare più lontano possibile quel rumore. No, non era un rumore. Era un suono, era musica quella che assieme all’hip hop e alle rime del rap, Luca Porru ha ascoltato senza sosta in ogni giorno della sua vita.

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Gli amici e i compagni di squadra, che l’hanno perso giovedì pomeriggio sul campetto da basket tra il liceo De Castro e l’istituto tecnico Mossa, volevano cantare fortissimo perché quella musica arrivasse lontano, assieme a quell’urlo gridato a centrocampo attorno alla bara arrivata al palazzetto dal cimitero, tappa obbligata prima di andare lentamente sino alla chiesa di San Giuseppe per il funerale.

Così, finiti i palleggi, si sono raccolti in cerchio come si fa dopo una vittoria, come si fa dopo una sconfitta. Non importa che si sia vinto o perso. È da anni il rituale dell’Azzurra Basket, la squadra di Luca Porru: braccia sulle spalle dei compagni, in cerchio, tanti saltelli attorno al centrocampo ritmati con quell’ "oh, oh, oh, oh, oh" sempre più forte. E poi tutti assieme a lanciare forte il grido di battaglia per la prossima sfida: una frase un po’ maleducata, ma simpatica.

Tutto come se fosse appena suonata la sirena della fine della partita. Ma allora è ritornato il silenzio, i palloni sono tornati nella cesta, il palazzetto è stato chiuso e tutti in fila hanno seguito il feretro verso la chiesa per il funerale in cui, se fosse stato possibile, tutte le persone presenti sarebbero salite sull’altare per dire un pensiero per Luca.

E di parole ne sono volate via tante verso quella bara, durante la messa in cui persino il parroco don Tonino Zedda ha preferito leggere i suoi pensieri che hanno preceduto i piccoli grandi ricordi di parenti, amici, compagni. Scritti in ore in cui il dolore pesa sulla parte più viva della città, tanto da trascinare in chiesa anche chi non aveva conosciuto il ragazzo ucciso da un infarto mentre giocava sul suo playground.

È stato al sentire quelle parole che la mamma Antonella, il babbo Tonino che al palazzetto aveva voluto per sé un pallone e il fratello Andrea, al cui fianco era seduta la fidanzata di Luca, Eleonora, sono andati incontro al gruppo di amici per un abbraccio che loro hanno ricambiato e che significava: «Siamo tutti figli vostri».

Ma c’era ancora da fare un viaggio verso il cimitero, ancora una volta non da soli. Tutti lì sempre a chiedersi come sia possibile perdere un ragazzo di ventun’anni, una domanda martellante che mai avrà risposta e che renderà difficile per molto tempo ogni altra partita e ogni tiro a canestro. Sono i giorni degli Europei di calcio, sono i giorni delle “Finals” della Nba, il campionato di basket degli Stati Uniti.

Luca Porru non avrebbe perso un minuto di ciascuna gara per nulla al mondo, pronto a fare il tifo per i suoi idoli sognando che un giorno un miracolo gli avrebbe dato gambe, muscoli e talento per ripetere quelle prodezze incredibili nel suo campetto.

Invece la sorte gli aveva dato un cuore dispettoso che l’avrebbe dovuto costringere a star lontano dal suo mondo. La sua anima voleva battere anche quel cuore, ma alla fine gliel’ha strappata fermando la magia del gioco quando il pallone era appena andato via dalle mani del ragazzo.
«Tum, tum, tum».
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