La Nuova Sardegna

Oristano

La testimone: costretta a cedere a don Usai

Il processo contro il sacerdote che gestiva la comunità Il Samaritano accusato di abuso sessuale

04 marzo 2016
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ORISTANO. «Avevo bisogno di quel contratto di lavoro a tempo indeterminato, mi serviva per il rinnovo del permesso di soggiorno. Così alla fine ho dovuto cedere alle avances di don Giovanni Usai». L’immigrata nigeriana che denunciò il responsabile della comunità Il Samaritano di Arborea, facendo scattare alla fine del 2010 il suo arresto per violenza sessuale e favoreggiamento della prostituzione, ha confermato le sue accuse davanti ai giudici.

Il processo è ripreso dopo una lunga interruzione dovuta in gran parte alle condizioni di salute dell’imputato, che la mattina del 30 gennaio 2014 era rimasto vittima di un grave incidente stradale proprio mentre raggiungeva in auto il palazzo di giustizia. L’udienza ha riservato più di un colpo di scena: il primo quando l’avvocato Anna Maria Uras, difensore di don Usai, ha contestato l’utilizzo da parte del pubblico ministero Andrea Chelo di un verbale di interrogatorio della donna fatto dai carabinieri fuori tempo massimo e forse mai notificato alla difesa. Il secondo quando la vittima della presunta violenza sessuale ha dichiarato di aver ricevuto due giorni fa la visita a casa di don Usai che la implorava di non presentarsi in aula a testimoniare contro di lui.

E poi ancora la testimonianza di un anziano detenuto calabrese, Mario Serpa, ospite della comunità negli stessi anni. Non ha riconosciuto come sue le dichiarazioni contenute nel verbale dell’interrogatorio reso nel 2010 a due carabinieri che lo avevano raggiunto nel carcere milanese di Opera e ha negato con vigore che all’interno della comunità ci fosse un giro di prostituzione. «Se ci fosse stato, me ne sarei accorto e ne avrei approfittato subito», ha dichiarato senza tanti giri di parole. Il processo prosegue il 17 aprile.

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