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Oristano

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Contro il termodinamico dossier di 26 pagine

Claudio Zoccheddu
Contro il termodinamico dossier di 26 pagine

Italia Nostra, Wwf, Adiconsum e Lipu si oppongono alla San Quirico Solar Power. Le osservazioni inviate al servizio ambientale della Regione

01 marzo 2015
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ORISTANO. La scadenza è fissata per oggi. Anche se, come aveva spiegato il direttore del Savi, Gianluca Cocco, durante l’assemblea di Sa Rodia: «Non siamo così fiscali». Qualcuno, però, non si è fidato e ha comunque presentato per tempo alla Regione una lunga lista di osservazioni contro l’impianto termodinamico a biomasse immaginato dalla San Quirico Solar Power nelle campagne di San Quirico, a un tiro di schioppo da Oristano. Il lavoro di Lipu, Adiconsum Italia Nostra e Wwf ha riempito 26 pagine di osservazioni che possono essere sintetizzate in 10 capitoli articolati.

Ubicazione. Secondo i contestatori il progetto dovrebbe essere realizzato su aree comprese in siti industriali dismessi. Un esempio è quello dell’impianto Csp Enel di Priolo Gargallo (Sr), costruito in una tra le più inquinate aree industriali d’Italia. La tecnica di produzione elettrica con Csp a sali fusi è considerata incompatibile con l’agricoltura ed è stata definita “tecnologia del deserto”.

Puc. Secondo il Piano urbanistico comunale, le aree sui cui verrà realizzato il bio-solare sono classificate come E (agricole) e H (di rispetto). Gli oppositori aggiungono che si tratta di aree destinate a usi agricoli e alla costruzione di edifici e impianti a uso agro-pastorale. Il fatto che la relazione tecnica ne preveda la costruzione anche in aree agricole viene letta citando i commi 7 e 10 della stessa relazione. Ovvero, “tenere conto delle disposizioni in materia” e “corretto inserimento dell’impianto”.Servirebbe quindi una variazione al Puc che non è avvenuta.

Agricoltura. Il termodinamico avrebbe vicini di casa scomodi. Gli agnelli, per iniziare. Quelli allevati nelle zone limitrofe sono indicati con il marchio Igp, assegnabile solo agli animali allevati in ambiente del tutto naturale. Stesso discorso anche per le produzione casearia. A ridosso della centrale a biomasse della Solar Power verrebbe prodotto il pecorino romano Dop, il pecorino sardo Dop e il fiore sardo, anche in questo caso a denominazione di origine protetta. Paesaggio. «Le amministrazioni comunali sono tenute al recupero e alla messa in valore dei paesaggi rurali», scrivono i firmatari delle osservazioni che sottolineano come, a differenza di quanto accaduto a Oristano, questa imposizione venga colta perfettamente nel Ppr della Regione e nella scheda d’ambito del golfo di Oristano. «Il progetto potrebbe portare il radicale stravolgimento del paesaggio e del suolo agricolo».

Suolo. Oltre all’occupazione per trent’anni di una superficie agricola (44 ettari di impianto per un consumo totale di 77 ettari) i lavori interesserebbero la terra a una profondità compresa tra i 24 centimetri e i 2,34 metri, senza considerare «le fondazioni del campo solare, della power block, dei servizi ausiliari delle torri e della centrale a biomasse». Si parla di 1150 pali di diametro compreso tra i 600 e 1500 centimetri, piantati a 6/7 metri di profondità. Lavori che sconvolgerebbero il terreno e ne minerebbero la fertilità.

Fabbisogno. La Sardegna produce 4000 gigawattora, un dato dell’ultimo report del Gruppo Terna che sottolinea come l’Isola produca il 42,9% di energia in più del suo fabbisogno. Il surplus potrebbe crescere per la diffusione domestico delle fonti rinnovabili. Numeri che pongono un problema di opportunità sulla realizzazione dell’impianto.

Pears. Secondo il piano energetico ambientale della Regione (Pears)un impianto con questo tipo di tecnologia dovrebbe essere realizzato in “ambiti già interessati da insediamenti industriali”. La localizzazione su un suolo agricolo non sarebbe contemplata. Produzione e ambiente. Secondo i progettisti la stazione fissa di misurazione ha rilevato una potenzialità produttiva di 1672 kilowattora per metro quadro. L’Enea, però, ne avrebbe stimato il 17% in meno. Anche i sali fusi che riscalderanno l’impianto sono stati giudicati “non inquinati” dai progettisti. Ma per quantità così rilevanti entra in gioco la direttiva Seveso che le classifica “pericolose per l’ambiente”.

Consumo idrico. Quello stimato è di 117.429 metri cubi di acqua all’anno, che verrebbero prelevati da risorse idriche superficiali e sotterranee dopo la realizzazione di due pozzi. «Gli impianti di questo tipo sono considerati idroesigenti, esiste quindi un ragionevole dubbio che il fabbisogno idrico sia sottostimato». Se così non fosse, i 17mila metri cubi d’acqua equivarrebbero al consumo annuo di 1500 abitanti.

Danni di immagine. Tra i fattori di impatto negativi non sono stati citati quelli che deriverebbero dalla provenienza da un'area agricola interessata da emissioni inquinanti. Pur ammettendo una quantità di emissioni inferiore ai valori limite, l'impianto emetterà in atmosfera anidride solforosa, ossidi di azoto, nano particelle e ossidi di carbonio

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