La Nuova Sardegna

Oristano

Film oristanese sulla comunicazione per i malati di Sla

Film oristanese sulla comunicazione per i malati di Sla

Il lavoro dell’ex dirigente scolastico Antonio Pinna Regia di Antonello Carboni, musiche di Gianfranco Fedele

20 ottobre 2014
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ORISTANO. Studiare la comunicazione è materia sempre più complessa: Antonio Pinna, ex dirigente scolastico in pensione, già collaboratore della cronaca di Oristano della Nuova Sardegna, nella sua tesi di laurea (la seconda) in scienze della comunicazione, si è occupato di un aspetto poco noto, ma molto importante della materia. Quali sono i problemi di comunicazione per un malato di Sla? Come possono essere alleviati? Dal lavoro portato avanti attraverso colloqui e interviste nascerà un film. Titolo provvisorio: “Noi abbiamo vinto la Sla”. La regia sarà affidata a un altro oristanese, Antonello Carboni, che nella sua ormai pluriennale (e pluripremiata) attività si era occupato di temi disparati: dai conflitti nel nordafrica all’arte. Per la prima volta si cimenta su un tema legato alla salute e alle implicazioni sociali di una terribile malattina. Il film, che dovrebbe uscire tra un anno, avrà le musiche di Gianfranco Fedele.

«È stato un viaggio e, come dice bene Claudio Magris, il viaggio è nel viaggio e non sai dove ti porterà – racconta Antonio Pinna –. Il mio approdo è stato quello del problema della relazione e della comunicazione con i pazienti Sla. Dalla rabbia, dal disorientamento, alla confusione, alla perdita della lucidità davanti ad una malattia progressiva ed irreversibile che ti blocca tutti i muscoli volontari e che prima o poi ti toglie la parola».

Una diagnosi di Sla devasta gli animi delle persone. Dei malati e dei loro familiari. Affrontare e in parte risolvere alcuni problemi di comunicazione può migliorare la qualità della vita: «Il cuore della mia tesi – continua Pinna – è quello della relazione e della comunicazione, snodo decisivo del sostegno della "famiglia Sla", cioè di quel nucleo di affetti condivisi, di legami forti, di empatie mature che è la base di una nuova qualità della vita del malato, insieme ai "prodigi" della tecnologia che ridà voce a chi l'ha persa. Questi due fattori positivi possono ristabilire quella continuità nell'identità personale, quasi perduta dopo la diagnosi : “io non sono più io”, o “io sono morto” dicono frequentemente i malati dopo la diagnosi».

Antonio Pinna ricorda che esistono anche casi prodigiosi di malati che hanno ripreso a lavorare: «Queste persone esistono. Io le ho incontrate e per merito loro la mia tesi è stata soprattutto un viaggio “umano”, una lezione di vita. Sono loro che mi hanno definitivamente convinto che la conoscenza senza umanità vale zero».

Per aiutare un malato di Sla occorrono strumenti, conoscenze e risorse: «L'alfabetizzazione informatica e la familiarietà nell'uso dei pc sono l'unico strumento affinchè questi malati mantengano la relazione con i propri cari, con il mondo esterno, permettendogli di comunicare i propri bisogni sociali, i propri punti di vista, le decisioni inerenti la loro vita quotidiana e futura – ricorda ancora Antonio Pinna –. “La comunicazione è tutto” ha scritto e detto un malato di Sla da me intervistato, la sua mancanza è una gravissima diminuzione della loro qualità della vita e della loro dignità personale. Eppure non si hanno dati ufficiali sul grado di soddisfazione di questo bisogno fondamentale dei malati di Sla».

Di recente c’è stata grande attenzione mediatica sulla malattia, anche grazie al fenomeno dell’Ice bucket challenge, le docce gelate fatte da personaggi noti e meno noti che hanno portato un po’ di donazioni da utilizzare nella ricerca. La strada è però lunga e difficile. Nel frattempo? «Sarebbe necessaria una “presa in carica globale” del malato Sla – dice Antonio Pinna –, tema oggetto di convegni in varie regioni in questi ultimi anni, ma che attende di essere una pratica diffusa, organizzata e sistematica. Neurologo, fisioterapista, infermiere professionale, assistenti, familiari e psicologo dovrebbero fare rete e sistema o rete per sostenere il malato, ma questo succede molto raramente». (r.pe.)

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