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Oristano

La sentenza è ribaltata: «Ha ucciso il cognato»

di Enrico Carta
La sentenza è ribaltata: «Ha ucciso il cognato»

Busachi, la corte d’assise d’appello cancella l’assoluzione di Domenico Fadda e gli infligge diciotto anni per l’omicidio a coltellate di Giovanni Cossu

09 luglio 2014
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BUSACHI. Un colpo di spugna e poi si volta pagina. Dopo tre ore e mezza di camera di consiglio, la corte d’assise d’appello ribalta il verdetto di primo grado sull’omicidio di Giovanni Cossu (53 anni), che, da ieri sera alle otto e un quarto, ha un nuovo colpevole condannato a diciotto anni di carcere. Ad uccidere l’ex poliziotto del Caip non fu quindi la moglie Isabella Fadda, che il giorno dopo l’assassinio del marito si impiccò in preda ai rimorsi, così come avevano lasciato intendere le motivazioni seguite alla sentenza di primo grado. A brandire il coltello, per i giudici d’appello, fu invece Domenico Fadda, allevatore di 56 anni, cognato della vittima e fratello della di lui moglie, Isabella.

Andando oltre lo scarno dispositivo di condanna, quella che si consumò in via Roma nell’ottobre del 2011 non fu quindi una tragedia figlia del grave stato di depressione di Isabella Fadda che, per via delle sue condizioni di salute mentale, ormai vedeva nel marito una sorta di nemico tanto da covare in sé la volontà di eliminarlo sino ad arrivare a mettere in atto i suoi propositi. Per la corte d’assise d’appello andò tutto in modo molto differente. Tra Giovanni Cossu e Domenico Fadda ci sarebbe stato, così come avevano sostenuto gli inquirenti, il pubblico ministero in primo grado e il procuratore generale in appello, un furibondo litigio legato proprio al modo in cui l’ex poliziotto si rapportava con la moglie malata. Al culmine di esso il coltello sarebbe spuntato fuori dalla tasca di Domenico Fadda che avrebbe così colpito con diversi fendenti la sua vittima. Subito dopo avrebbe lasciato la casa di via Roma per darsi alla latitanza, durata lo spazio di ventiquattro ore.

Da quel momento arrivano quindici mesi consecutivi di carcere, durati sino al momento in cui gli avvocati difensori Agostinangelo Marras e Raffaele Miscali strappano l’assoluzione di fronte alla corte d’assise.

Da quel momento la strada sembrava in discesa, invece lo scontro tra periti da delitti eccellenti sulla ricostruzione della scena del delitto apre nuove strade e convince la corte d’assise d’appello a dar ragione alla procura generale che, però, come pena finale aveva chiesto trent’anni. È così che il processo cambia completamente volto in attesa dell’annunciato e inevitabile ricorso in Cassazione. «Attendiamo le motivazioni – dice l’avvocato difensore Raffaele Miscali – poi ovviamente si andrà in Cassazione». È l’unico commento del dopo sentenza, perché Domenico Fadda stavolta va via ammutolito dal tribunale di Cagliari e con lui alcuni amici che avevano voluto accompagnarlo anche stavolta in attesa del verdetto che speravano differente. Nemmeno l’avvocato Agostinangelo Marras sceglie di parlare, segno evidente che sul processo aleggia ancora quella dichiarazione di ricusazione della presidentessa Grazia Corradini (giudice a latere era Gabriella Muscas). La difesa ne aveva chiesto la sostituzione sin dal momento in cui aveva letto la propria relazione. Per gli avvocati il verdetto di colpevolezza era già contenuto in quelle righe e in aula rimarcarono che erano stati omessi tutti gli elementi per cui, in primo grado, la corte d’assise era arrivata ad una sentenza completamente opposta a quella di ieri.

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