La Nuova Sardegna

Oristano

Alluvionati in marcia sino alla Regione

Uras, la protesta delle vittime del ciclone Cleopatra è arrivata nei palazzi di Cagliari

02 luglio 2014
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URAS. «Se non fossimo arrivati sin qui sarebbe stato un bel pasticcio. Era importante farsi ascoltare in Regione ed era importante unire le forze di tutti i comitati della Sardegna. Non abbiamo mai smesso di crederci, solo chi non è capace di guardare al di là del proprio naso non ha creduto in questo progetto». Daniela Vacca è la cittadina di Uras che dopo l’alluvione ha fondato il comitato spontaneo di donne che hanno restituito le schede elettorali perché le istituzioni avevano completamente abbandonato il paese dopo il passaggio del ciclone Cleopatra.

La sua lotta è andata avanti e ieri mattina insieme a una quarantina di cittadini di Uras ha marciato sul palazzo del consiglio regionale a Cagliari, in coordinamento con i comitati di tutta la Sardegna con un centinaio di manifestanti. Quel che è arrivato ora addosso a chi ha vissuto quegli attimi terribili di fango e disperazione, raccontano i cittadini di Uras durante il viaggio, è il carico psicologico. «Molti ancora hanno paura della pioggia e la notte sono attanagliati dagli incubi – raccontano durante il viaggio –. I nostri bambini e gli anziani sono quelli che soffrono di più».

Ci sono poi i problemi pratici ed economici. Antonia Melis ha sessant’anni e abita vicino alla stazione, la zona che è stata travolta dall’esondazione del Rio Mogoro. Il piano terra della sua casa è ancora vuoto. «Abbiamo ancora da pagare le rate del mutuo per i prossimi dieci anni – racconta seduta nell’ultima fila di sedili del pullman –. Non pretendo che mi comprino i mobili, ma che mi diano i soldi per rimettere a posto la casa. Quelli non li ho».

Qualcuno si lamenta per l’assenza del sindaco, Gerardo Casciu, ma i comitati non hanno voluto le istituzioni con loro a Cagliari. «Loro hanno canali preferenziali e questo è un movimento di cittadini – riprende Daniela Vacca –. Le amministrazioni si sono barricate dietro le loro preoccupazioni e il loro senso di impotenza e non sono riuscite a creare un canale di comunicazione e a unirsi ai cittadini. Se si fosse creato un fronte comune, oggi ci avrebbe fatto piacere avere con noi i rappresentanti degli enti locali». C’è invece il parroco, don Tullio Ruggieri, che ha fatto di un versetto di Isaia la sua ragione di vita. «Per amore del mio popolo non tacerò, dice il profeta. E io ho già detto più volte quel che dovevo in omelia, anche con frasi dure e senza giri di parole sul mio disappunto o la mia voglia di vedere un impegno più concreto e produttivo. Oggi devono parlare i cittadini che hanno perso tutto».

Caterina Cossu

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