La Nuova Sardegna

Olbia

Vendita della Costa Smeralda, otto manager sotto accusa per evasione fiscale

di Giampaolo Meloni
Vendita della Costa Smeralda, otto manager sotto accusa per evasione fiscale

La Procura contesta ai dirigenti della Colony 200 milioni di tasse non versate allo Stato per i bilanci e per la transazione

30 luglio 2016
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INVIATO A TEMPIO. Duecento milioni per otto persone. Da dividere, presumibilmente. Ma non è una vincita al superenalotto. No, si tratta di imposte evase per la vendita della Costa Smeralda effettuata nel 2012 dalla Colony Capital Sarl all’emirato del Qatar e che il managment della società del finanziere libanese Tom Barrak dovrà versare allo Stato italiano.

Il meccanismo della “sottrazione di liquidità finalizzata all’evasione fiscale” (la più alta finora rilevata e contestata in Sardegna con provvedimento dell’Autorità giudiziaria) è stato accertato dalla Procura della Repubblica di Tempio che con il coordinamento del procuratore generale Domenico Fiordalisi ha concluso le indagini sulla vendita del gioiello turistico della Sardegna e trasmesso nelle ultime ore gli avvisi di accertamento disposti all’Agenzia delle Entrate agli otto destinatari focalizzati dalle indagini, in sostanza le persone fisiche che firmarono gli atti della compravendita. Si tratta di Franco Carraro, 77 anni, Stefano Morri, 57, Mariano Pasqualone, 49, Renzo Persico, 65, la russa Alexandra Budrova, nata a Pietroburgo, Manule Luca Baldazzi, l’americano (Cleveland, Hoio, 53 anni) Jonathan Howard Gruzweig e David James Monahan, anche lui americano della Pensylvania, 60 anni: l’intero gruppo di gestione della Colony Capital Sarl, società con sede a Porto Cervo e in Lussemburgo.

Ma nella contabilità dell’operazione portata a termine con il meccanismo di scatole cinesi, un incastro di società esterovestite per sfuggire alle norme fiscali, c’è anche la Colcom Sarl, società con sede allo stesso indirizzo Lussembrughese della Colony. A questa società, rappresentata da Franco Carraro, viene contestata l’omessa affettuazione di ritenute su interessi corrisposti per un prestito ricevuto dalla Credit Suisse il 29 maggio 2012 per 220 milioni e mezzo: secondo l’Agenzia delle Entrate e secondo il magistrato sarà ora necessario il recupero a tassazione di 576mila euro. Ma è solo una delle voci che sommate portano al tetto dei duecento milioni circa. Altre violazioni affiorano, per esempio, dai bilanci della Colony come ritenute non operate anno per anno dal 2009 al 2012 per un importo superiore ai ai 26 milioni. Insomma, l’inchiesta conferma che la contabilità che sfuggiva al versamento delle ritenute era praticata anche prima dell’operazione Costa Smeralda che fruttò alla Colony Capital oltre 600 milioni.

La transazione avvenne all’estero, in Lussemburgo, come preferirono i rappresentanti del Fondo sovrano del Qatar per non avere complicazioni con il sistema fiscale italiano. Ma difficilmente poteva essere così, trattandosi di un’impresa che realizzava redditi considerevoli in Italia, nel caso specifico in Sardegna.

Nella scorsa primavera entrò nell’indagine anche il magnate della Colony Capital Tom Barrak. Anche lui per le falle contabili nel rispetto del decreto legislativo 74/2000, ossia l’evasione fiscale. Il finanziere non è compreso nell’accertamento notificato ora ai suoi ex uomini di fiducia e agli altri rappresentanti della società perché non ha mai avuto cariche effettive amministrative, né ha firmato l’atto finito sotto la lente dell’Agenzia delle Entrate e degli inquirenti. Ma il miliardario libanese con passaporto americano resta nella sfera degli accertamenti che la procura di Tempio sta portando avanti anche su altri aspetti. Attenzione sul versante tributario che non sembra si sia spenta anche nei confronti della Qatar Holding.

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