La Nuova Sardegna

Olbia

IL CASO

Una disabile di Oschiri: tra contributi negati e disagi

di Stefania Puorro
Una disabile di Oschiri: tra contributi negati e disagi

INVIATO A OSCHIRI. Ormai, da quasi due anni, non si alza più. E’ bloccata su quella carrozzina e nulla può fare senza un aiuto. Eppure la Regione ha detto no alla sua domanda di contributo, dopo che...

27 dicembre 2014
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INVIATO A OSCHIRI. Ormai, da quasi due anni, non si alza più. E’ bloccata su quella carrozzina e nulla può fare senza un aiuto. Eppure la Regione ha detto no alla sua domanda di contributo, dopo che la Asl di Olbia, al contrario, gliel’aveva accolta. «Il motivo? Perché non sono demente. Assurdo, ma è così. Vorrei invitare a casa mia, per una settimana, coloro che ha bocciato la mia domanda di sostegno economico previsto dal programma “Ritorno a casa”. Offrirei loro vitto e alloggio ma farei loro anche una precisa richiesta: quella di chiudere gli occhi e di non muovere nessuna parte del corpo, anche se fa male. Forse così capirebbero che ho diritto a quei contributi. Io sono disabile, ma mi sento viva e voglio vivere da persona normale. E la normalità è poter uscire, continuare a cantare nel coro, avere qualcuno che mi possa aiutare a casa senza costringere mia figlia, laureata dalla scorsa estate, a stare al mio fianco. Ha diritto anche lei a farsi una vita, e non può pensare solo ad accudire me».

Pina Lambroni è un fiume in piena. E’ infuriata, irritata, indignata. Perché qui si parla dei suoi diritti calpestati. Quando ha scoperto di avere la sclerosi multipla, la donna (vedova, 58 anni, due figli) ha accettato la sua malattia. Ci convive, anche se è difficilissimo farlo. Sino a due anni fa era tutto più facile, per lei, visto che camminava. Adesso è prigioniera della sua sedia elettrica, e per darle una mano ad alzarsi devono utilizzare il sollevatore. «Quando decido di uscire, impiego anche due ore per prepararmi. Il mio corpo, a volte, si irrigidisce e allora devono massaggiarmi prima di aiutarmi con il sollevatore. No, non si capiscono queste difficoltà se non si provano; neppure io ne ero consapevole quando le mie gambe funzionavano. Adesso, invece, la realtà è un’altra. E non posso farci niente. Ma perché non rendermi più facile la vita? Chi, come me, convive con una grave patologia ma ha una situazione economica più favorevole, può vivere con maggiore serenità e con meno limiti. Quello che farei io, insomma, se avessi la possibilità di fare un viaggio ogni tanto o di avere qualcuno che possa assistermi con costanza. Negarmi i contributi chiesti, è sbarrarmi la strada con un’ulteriore barriera».

Pina Lambroni, a Oschiri, riesce a vivere abbastanza bene. «Tutti, in paese, hanno cercato di rendere ai disabili le cose più facili. Con scivoli e passaggi agevoli. Ma non può bastare. La vita di una persona normale non può essere fatta solo di brevi uscite o di un caffè al bar. E non vedo perché, anche a me, non debbano essere date più possibilità e opportunità».

Ma a volte, proprio le cose più semplici, si trasformano in scogli insormontabili. «E qui vorrei raccontare ciò che mi è capitato di recente nell’ambulatorio di urologia delle cliniche universitarie sassaresi. Dopo aver chiesto la collaborazione dell’Avis affinché mi garantisse il trasporto, sono arrivata a Sassari. Ma una volta nell’ambulatorio (e la mia protesta non è certo contro gli operatori), ho avuto subito difficoltà a entrare nel bagno, in quanto la mia carrozzina non passava attraverso la porta. Niente da fare, quindi: hanno dovuto trasportare all’esterno la “comoda”. La mia visita, comunque, si è interrotta poco dopo. Quando dovevano sistemarmi sul lettino, decisamente alto, non ci sono riusciti: erano solo in tre (mia figlia compresa) e non c’era un sollevatore a disposizione. Così sono andata via, senza concludere il mio esame, e con tanta tristezza nel cuore».

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