La Nuova Sardegna

Olbia

Molino fu ucciso per una lite di caccia

di Giampiero Cocco
Molino fu ucciso per una lite di caccia

Loiri, depositate le motivazioni della sentenza che ha condannato a 24 anni di reclusione l’operaio Antonio Quaglioni

15 aprile 2014
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LOIRI PORTO SAN PAOLO. Antonio Quaglioni, l’operaio di Lu Stazzareddu (Loiri) condannato a 24 anni di reclusione per l'omicidio di Domenico Molino, ucciso nel dicembre del 2011 nelle campagne vicino a Ovilò, agì d’impulso. L’omicida era spinto da un odio viscerale nei confronti della vittima per banali motivi legati alla caccia grossa. Questa la motivazione del delitto che i magistrati della corte d’Assise di Sassari hanno messo nero su bianco nel ricostruire, minuziosamente, la genesi di un efferato fatto di sangue portato a termine, come disse il pubblico ministero Riccardo Rossi, con la modalità e tecnica di «una battuta di caccia grossa». Nelle motivazioni della sentenza di condanna, depositata nei giorni scorsi dal presidente della Corte Pietro Fanile e dal giudice a latere Teresa Castagna vi è la ricostruzione dell’agguato al quale prese parte, inconsapevolmente, Andrea Faedda, un giovane battitore della compagnia di caccia comandata da Antonio Quaglioni. La confessione del giovane originario di Berchideddu permise agli inquirenti di chiudere il cerchio attorno all’assassino del manutentore di campi da golf Domenico Molino. L’uomo, 56 anni di Ovilò, impiegato in una struttura turistico sportiva della Costa gallurese, venne ucciso da due fucilate sparate a bruciapelo la mattina del 22 dicembre del 2011 nella sua campagna di La Silvaredda, una località a pochi chilometri da Loiri. Le indagini avviate dopo l’omicidio si indirizzarono nel mondo della caccia grossa e in particolare sul “diritto” che due compagnie – quella diretta da Domenico Molino e l’altra comandata dal suo antagonista e killer, Antonio Quaglioni –, rivendicavano per effettuare le battute di caccia nella zona di Sa Silvaredda. I patti di “utilizzo” di quella selva, che doveva essere sfruttata dalle due compagnie occupando i due versanti di una collina, sarebbero venuti meno dopo lo sconfinamento di alcuni cani che avevano spinto i selvatici verso le zone della compagnia avversaria. Un affronto che i due capocaccia avrebbero cercato di chiarire in due telefonate che si erano incrociate nei giorni precedenti l’agguato. L’impianto accusatorio, che si basava principalmente sulle dichiarazioni di Andrea Faedda e sulle indagini portate avanti dal nucleo investigativo dei carabinieri di Olbia, i cui militari avevano accentuato i sospetti su Antonio Quaglioni dopo che l’uomo denunciò la finta rapina di un fucile sovrapposto calibro 12, (si presume fosse l’arma del delitto), ha portato alla condanna dell’operaio per quell’assurdo delitto.

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